America First o America Solo? Se proprio si vuole cercare un qualcosa di positivo in una debacle, lo si trova. Io, davanti al fiasco del “team della sicurezza” di Trump a proposito della operazione contro gli Houti sbattuta inavvertitamente sulla prima pagina di The Atlantic, l’ho trovato in questa conclusione: del ticket in carica alla Casa Bianca, è il presidente quello di cui ci si può fidare. Che è un bene, visto che lui è al top.
Trump è ancora quello che disse “distruggerò l’Isis” e lo fece a tempo di record nel 2017. E quello che, senza preavvisi, eliminò i due calibri del terrorismo islamico Kasem Soleimani, il capo delle guardie delle rivoluzione in Iran, e Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato islamico in Iraq. Con la direttiva data allo staff della Difesa e della Intelligence, ora, Trump ha voluto eliminare l’ostruzione navale che gli Houti, vassalli di Teheran, esercitano contro il commercio internazionale attaccando i vascelli internazionali. Le guerre per la protezione dei commerci via mare sono alla base del progresso delle civilizzazioni, dagli imperi alle democrazie capitalistiche.
Del suo vice, JD Vance, esce invece confermato che ha un istinto isolazionista, da America Solo, appunto, e con una visione strategica globale, diciamo, con ampi e urgenti margini di miglioramento. Il senatore venuto dall’Ohio ha dimostrato di saper cambiare idea, come quando ha smesso di considerare Trump un “Hitler americano”, e di pensare a se stesso come a un “Never Trump”. Allineandosi al leader del GOP è salito, in meno di un decennio, fino a dove è oggi. Quindi, quando nella chat dello scandalo ha preteso d’essere il genuino interprete del presidente, ha forse voluto compensare i passati giudizi negativi con una professione di fedeltà senza se e senza ma al boss. Ha sproloquiato, come conseguenza degli attacchi USA, di aumenti del costo dell’energia che nessun economista ha ipotizzato. E ha fatto il ragioniere sul “cui prodest” dell’intervento militare USA per spazzare i moderni pirati e ripristinare la sicurezza dei flussi d’affari marittimi: “Il 3% sono navi USA, il 40% sono dell’Europa”, ha detto. “Odio salvare gli Europei”.
È l’affermazione più grave di Vance e che sia uscita pubblicamente è quel “qualcosa di positivo” cui accennavo all’inizio. Trump, nell’impaccio d’aver assistito al fiasco della sua squadra e con l’obbligo di voltare pagina il prima possibile, si è poi detto d’accordo con il vice sugli europei “parassiti”. Non poteva fare diversamente per non mostrare una frattura disastrosa nel governo appena nato. Ma ora conosce meglio Vance e questo dovrebbe aprirgli gli occhi. Il presidente apprezza la fedeltà dei suoi, ma “cum juicio” distingue i ruoli. Quello del leader che non teme di destabilizzare alleati (vedi tariffe a UE e Canada) e avversari è ruolo solo suo. Non è trasferibile ad alcun seguace e tantomeno a un vice che aspira e sogna l’investitura per la successione. L’imprenditore, che si è fatto la fama e la fortuna con il fiuto nell’assumere e licenziare in TV i personaggi di The Apprentice, sa riconoscere (o almeno è convinto di saperlo fare) tra chi vale davvero e chi no. Ha elevato a vice Vance, ma può davvero piacergli un replicante più trumpiano di Trump? Intanto, nelle interviste, il presidente si è rifiutato di dargli l’endorsement per il 2028. Ricordate Obama? Prese Biden come vice per una sorta di DEI alla rovescia (bianco, anziano). Ma come successore per il 2016 candidò Hillary Clinton.
A Trump serviva nel 2024 una “copia” per tenere unito l’esercito dei fedelissimi MAGA, ma per il 2028 una pura replica di sé non andrebbe bene. Prima cosa, il presidente tiene a essere unico, irripetibile. Seconda, dopo aver rifatto Grande l’America, potrebbe riscoprire il fascino degli USA quale leader globale. Il ruolo è vacante e la missione proibitiva per un isolazionista ideologico. Ma Vance, magari, si reinventa…