L’Intelligenza Artificiale entra nelle nostre vite in modo quasi violento. Facciamo fatica a stare al passo di quel che avviene, le versioni aggiornate dei vari chatbot si susseguono senza sosta, ma dovremmo avere la capacità di fermarci e riflettere… Questa settimana lo facciamo con il prof. Guido Bosticco, docente di Professioni dell’editoria all’Università di Pavia.
Professore: partiamo dalle cose buone…
“L’AI è una tecnologia altamente abilitante, perché permette di fare cose che prima non potevamo fare e nemmeno immaginare. Nella ricerca scientifica, per esempio: oggi l’AI può predire con precisione la struttura di un numero elevatissimo di proteine, in poche ore, mentre fino a ieri occorrevano decenni di lavoro per centinaia di ricercatori; lo stesso in astrofisica e in fisica teorica, del resto già nel 2012, la scoperta del bosone di Higgs era stata ottenuta tramite l’utilizzo di algoritmi di machine learning; e ancora nel campo della genomica e dell’editing genetico, nella costruzione di modelli predittivi di precisione per eventi meteorologici estremi, nel monitoraggio dei processi di deforestazione e di altre minacce ambientali, nel campo delle interfacce cervello-computer, per decodificare i segnali cerebrali e tradurli in comandi per le protesi, o, cambiando ambito, per poter leggere manoscritti fragilissimi senza intaccarli, come successo di recente con i Papiri di Ercolano, del 79 a.C., ritrovati arrotolati e carbonizzati, eppure in via di decifrazione”.
Bene quindi, ma che cosa ci dice tutto ciò? Che cosa comunica a un giovane che si affaccia al mondo adulto?
“Anzitutto che il futuro è pieno di possibilità, è interessante, straordinariamente dinamico. Poi che molti dei problemi di cui ha sentito parlare in questi anni potrebbero trovare soluzioni nuove, che il suo lavoro di domani potrebbe essere affascinante, che la tecnologia è potente, molto potente, che è parte della nostra vita, della nostra natura, che il mondo è complesso, ma che le cose saranno sempre meno sconosciute e i processi potranno essere sempre più facilitati. Tutto vero”.
Questo potrebbe però creare un problema rispetto a un certo senso di realismo: un bias del tipo ci penserà l’AI, con l’AI risolveremo quel problema e dunque a concentrarsi solo su alcune possibili soluzioni, perdendo di vista la complessità, a favore di una gestione del complicato….
“Senza un’educazione pre-tecnologica, il rischio è di non mettere troppo in dubbio la qualità dei dataset utilizzati per addestrare gli algoritmi e di non preoccuparsi delle implicazioni etiche derivanti dall’uso di algoritmi, che potrebbero offrire risultati discriminatori, scientemente parziali o deviati, così come c’è il rischio di non tutelare abbastanza la propria immagine e i propri dati, essendo abituati a utilizzarli pubblicamente con leggerezza. Sul pericolo conseguente del deepfake è inutile soffermarsi: demanderemo a un’AI il compito di verificare se un video o una foto sono opera di un’AI”.
Ma in tutti questi contrappesi di pregi e difetti, qual è il pericolo più grande per le giovani generazioni, a medio e lungo termine?
“A mio avviso è la riduzione della biodiversità intellettuale. Un rischio che non nasce con l’AI (e che non riguarda soli i giovani a dire il vero), ma che trova ora un’accelerazione impressionante, dopo l’impennata della nascita dei social network, e prima del web, e prima ancora dei mass media: in sostanza con il processo incrementale della globalizzazione.
Ogni strumento che permette di facilitare, ampliare e intensificare le relazioni fra esseri umani, anche su larga scala, è al contempo un potenziale veicolo di omologazione. Certo non si può immaginare un mondo di cellule comunitarie separate, così che si preservi l’originalità di ogni gruppo e l’indipendenza del loro pensiero. Sarebbe anacronistico e assurdo. Tuttavia ciò non implica che la scelta migliore sia il suo contrario e cioè la totale (con)fusione delle conoscenze e dei saperi che confluisce in un modello unico di linguaggio, di catalogazione e classificazione della conoscenza, di erogazione delle informazioni, di scala di valori. Un modello ipercapitalistico, iperglobalizzato, iperaccentrato, con gentilezza, ma accentrato”.
In buona sostanza, sarà ancora l’AI ad aiutarci ad allenare il pensiero critico?
“Forse sì, se sapremo approcciarla non come oracolo, ma come partner nel processo conoscitivo ed evolutivo. La speranza è riposta proprio nelle giovani generazioni”.