Ho appena passato un paio di settimane in Italia, abbastanza per registrare l’umore generale anti Trump che serpeggia quasi senza eccezioni tra i commentatori di tutti i canali TV. Grazie al messaggio mediatico dominante sul presidente, che è fortemente negativo, e per estensione sulla società americana, che viene data per persa sul terreno della democrazia e della affidabilità internazionale, esito a riportare i dati dei sondaggi, letti al mio rientro sulla stampa di New York. Non vorrei, rivolgendomi alla quota di lettori italiani di questa testata, turbare le loro certezze. Oppure passare io per pazzo.
Io mi butto, e sia quel che sia. Negli Stati Uniti di Trump, secondo NBC News, il 27% della gente approva il lavoro che sta facendo il partito Democratico, l’incarnazione della politica della “resistenza al dittatore”. Per la CNN, che come NBC News tifa contro i Repubblicani, l’approvazione del partito DEM è al 29%, il più basso rating nei 33 anni di storia del sondaggio, mentre il 54% ha una visione negativa. Quindi, se anche il GOP e il suo leader non brillano, l’opposizione sta peggio, e non poco.
All’opposto, e non è per rigirare il coltello nella piaga, il tasso per Trump è al livello più alto nella storia dello stesso sondaggio NBC News, con il 47% di approvazione. È vero che il 51% della gente disapprova il lavoro della Casa Bianca, ma in politica sono i trend che contano e la antipatia per Trump non sta aumentando. Anzi è il contrario. Se si considera la spinosa questione dei dazi, sulla quale in Europa e in Italia il giudizio è pesantemente negativo – e comprensibilmente da quel punto di vista -, in America sono il 41% coloro che approvano i cambiamenti nelle politiche commerciali, più di quelli, il 38%, che li disapprovano.
Chi non si capacita che Trump, pur con tutto il comportamento erratico che lo contraddistingue e che lo penalizza agli occhi di tanti, ha una presa resistente sul suo pubblico americano deve guardare al sondaggio CBS News/ YouGov. Per il 70% sta facendo “esattamente quanto aveva promesso” e per il 30% ha deviato. E nel formare il tasso di approvazione generale del 53% pro Trump, le deportazioni e la gestione del conflitto tra Israele e Hamas sono componenti positive: il 59% approva le prime e il 54% la seconda.
Con buona pace di chi, sul tema della repressione dei clandestini, magari tifa per i giudici che mettono il bastone tra le ruote al suo repulisti. Come il giudice federale distrettuale James Boasberg, che ha tentato di bloccare l’aereo che trasportava 250 criminali doc delle gang venezuelane e centro-americane in una galera del San Salvador: la vertenza giudiziaria finirà alla Corte Suprema, ma è ovvio che alla corte dell’opinione pubblica del suo paese Trump ha già vinto. Nella battaglia contro l’immigrazione illegale il Paese ha voltato pagina, ed è con lui. Gli italiani, che pure vivono questo problema in termini drammatici, non sono disposti a simpatizzare con le soluzioni di Trump, anche se i risultati sono stati fin qui eclatanti. Dalla California al Texas, gli arresti (i dati sono del Border Patrol, l’agenzia governativa) erano stati 140.641 nel febbraio del 2024, e sono precipitati a 8.347 nel febbraio del 2025. Nel solo Texas, il numero si è ridotto a meno di un decimo negli ultimi 12 mesi, da 53.460 a 5.016.
Capisco che queste sono le cifre di una vittoria irrilevante agli occhi degli europei, a cui non interessano le conseguenze concrete della lotta per l’eliminazione di questa piaga annosa sulla vita degli americani ma chi vuole valutare davvero Trump, con le sue responsabilità, la sua statura, i suoi difetti e pregi, dovrebbe tentare di mettersi nei panni degli americani, suoi elettori o meno.
Tifare contro da lontano, soprattutto se armati solo delle lenti della ideologia anti-americana, è esercizio futile.