Il nuovo asse Trump-Putin sta relegando l’Unione Europea a un ruolo secondario nella gestione del conflitto ucraino e questo ha importanti implicazioni per il futuro dell’Europa. La svolta nella politica americana verso Mosca segna un cambiamento significativo. Per tre anni, l’Europa ha condiviso con Washington una linea di sostegno a Kiev, garantendo aiuti politici, economici, umanitari e militari. Oggi, l’atteggiamento dell’amministrazione statunitense, che sembra voler trattare direttamente con Mosca, esclude gli europei dai negoziati.
Nonostante queste tensioni, l’Europa sarà comunque chiamata a giocare un ruolo cruciale. Se si raggiungerà una tregua, sarà necessaria una forza di interposizione per garantire la pace. Gli Stati europei dovranno contribuire in modo significativo a questa missione. Inoltre, il processo di ricostruzione dell’Ucraina, devastata da anni di guerra, richiederà una forte presenza dell’UE, sia in termini finanziari che di assistenza tecnica. Questo impegno di Bruxelles rafforzerà i legami non solo con l’Ucraina, ma anche con i Paesi dell’area balcanica.
Nella ridefinizione degli equilibri nella regione, la prospettiva di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea potrebbe assumere un ruolo centrale. Anche Vladimir Putin ha riconosciuto questa possibilità, segnalando indirettamente l’importanza politica della questione.
L’ingresso di Kiev nell’UE metterebbe in primo piano le responsabilità europee nella stabilizzazione del Paese, rendendo evidente che il futuro dell’Ucraina è strettamente legato all’Europa.

Il processo di adesione è noto per la sua complessità e lunghezza. Si procede per gradi, esaminando attentamente le capacità del Paese candidato di sostenere gli oneri derivanti dalla piena partecipazione all’Unione. Per l’Ucraina, il cammino si presenta difficile, data la situazione geopolitica e le sfide interne che lo Stato deve affrontare. Tuttavia, le più recenti valutazioni della Commissione Europea confermano progressi significativi nelle riforme necessarie. Kiev sembra aver imboccato la strada giusta, un segnale che potrebbe accelerare ulteriormente il processo di integrazione, sempre nel rispetto delle rigorose condizioni stabilite da Bruxelles.
Nonostante i progressi, l’incognita principale resta l’evoluzione degli equilibri interni in Ucraina. Un eventuale cambio di leadership a Kiev, con l’emergere di un governo meno favorevole all’integrazione europea, potrebbe rimettere in discussione il percorso intrapreso, imponendo una riflessione sulle prospettive del Paese nei prossimi anni.
Ciò che appare certo è che l’Unione europea continua a esercitare una forte capacità di attrazione. La volontà di Paesi geograficamente e politicamente europei, ma ancora esterni all’UE, di avvicinarsi a Bruxelles dimostra che il progetto comunitario mantiene un ruolo di riferimento significativo. L’adesione non è vista solo come un ancoraggio ai valori occidentali, ma anche come un’opportunità di sviluppo economico, crescita e stabilizzazione democratica. L’attrattiva si manifesta nei Paesi candidati: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Moldova e Serbia. Nel dicembre 2022, il Kosovo ha presentato domanda di adesione, aggiungendo un ulteriore elemento al panorama delle ambizioni europee. Al contrario, i negoziati con la Turchia si trovano in una fase di stallo, mentre la Georgia ha sospeso unilateralmente il processo.
Ogni Paese ha una storia unica e si trova in fasi diverse del suo percorso. Spesso gli sviluppi della politica interna si intrecciano con le ingerenze internazionali e i mutamenti degli equilibri geopolitici.
Un discorso a parte lo meritano i Paesi dei Balcani occidentali. L’Albania e il Montenegro sono i più vicini a entrare nell’UE, mentre la Serbia è bloccata e la Bosnia-Erzegovina e Kosovo sono i più lontani dalla meta. In particolare, in Serbia i negoziati di adesione sono aperti dal 2014, ma oggi il Paese è il più scettico della regione riguardo a questo processo. Come è stato nel passato, l’obiettivo fondamentale rimane garantire stabilità, crescita economica e rafforzamento delle istituzioni democratiche, anche in questa parte dell’Europa. L’impegno assunto dall’Unione Europea al Consiglio europeo di Salonicco nel 2003, per garantire una prospettiva di adesione ai Paesi Balcanici occidentali, resta in gran parte disatteso, sebbene siano trascorsi oltre vent’anni. Nonostante gli evidenti interessi strategici a favore della loro integrazione, il processo di allargamento ha subito un forte rallentamento, ostacolato da fattori sia interni che esterni all’UE. Da un lato, le numerose crisi che hanno investito l’Unione negli ultimi anni – come la crisi economica, la Brexit, la pandemia e le tensioni geopolitiche – hanno monopolizzato l’agenda politica, creando una sorta di stanchezza nei confronti dell’allargamento e frenando i progressi nei negoziati. Dall’altro lato, i candidati si sono trovati ad affrontare difficoltà significative nell’attuazione delle riforme necessarie per soddisfare i criteri di adesione, rallentando ulteriormente il percorso. Ad esempio, in Bosnia-Erzegovina, le divisioni politiche interne impediscono la realizzazione di riforme essenziali, mentre in Kosovo le sfide legate allo stato di diritto costituiscono ostacoli significativi.

Tutto è cambiato con l’invasione russa all’Ucraina nel 2022. La Commissione europea ha compreso che, per non perdere rilevanza come attore geopolitico, lo strumento più potente a disposizione è l’allargamento. Di conseguenza, le discussioni su questo tema hanno ripreso slancio, coinvolgendo tanto i Balcani occidentali quanto l’Europa orientale. Questa nuova prospettiva crea opportunità, ma pone l’UE di fronte alla necessità di riformare i propri meccanismi decisionali.
L’esperienza delle adesioni del 2004 e 2007 ha dimostrato l’importanza di un percorso di preparazione strutturato, sia per i nuovi membri che per le istituzioni europee. L’ingresso di nuovi Stati non deve tradursi in una paralisi decisionale, ma piuttosto rappresentare un’opportunità di rilancio del progetto comunitario. In quest’ottica, è fondamentale considerare le posizioni di alcuni Paesi dell’Unione Europea che hanno già chiarito che, prima di qualsiasi allargamento, occorre abolire il principio di voto all’unanimità nel Consiglio UE. Questo principio, sebbene garantisca la parità tra gli Stati membri, può diventare un ostacolo significativo per il processo decisionale. La necessità di un sistema più flessibile e reattivo è essenziale, specialmente in momenti di crisi. Per questo, è essenziale introdurre riforme che rendano più efficienti le politiche comuni e il funzionamento dell’Unione, garantendo un’integrazione armoniosa e sostenibile e permettendo, altresì, ai nuovi Stati di adattarsi e contribuire attivamente al progetto europeo.
Un’Unione ben strutturata non solo potrà affrontare meglio le sfide, ma sarà anche in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini e delle nazioni che aspirano a farne parte.