Qual è la vera Kamala? Non date retta alle posizioni espresse finora, dopo la nomination, sulle arcinote questioni oggetto dei suoi flop flop: il fracking (voleva bandire le estrazioni di gas naturale, oggi non più); de-finanziare la polizia (prima sì, oggi no); il Muro con il Messico (suona incredibile alle scioccate orecchie dei liberal, ma, wow, ora ha detto di volerlo completare!); la mutua sanitaria pubblica per tutti, abolendo le assicurazioni private (nel 2019 lo voleva con il socialista Bernie Sanders, ora non più).
Queste capriole da candidata presidente sono sforzi ovvi per non apparire radicale. E gli elettori, almeno i centristi e gli indipendenti, decidano se credere alle “correzioni”.
Quello che, invece, è davvero rivelatore è l’impegno espresso il 24 settembre, ai margini di un comizio a Madison in una intervista con Kate Archer Kent della Wisconsin Public Radio, in cui ha detto di voler eliminare, da presidente, il filibustering. Si tratta della regola che prevede una super-maggioranza di 60 voti (sui 100 senatori) perché una legge possa essere approvata in Senato.
“Io sono molto chiara – ha detto Harris. – Penso che dovremmo eliminare il filibustering per Roe (il riferimento è al verdetto del 2022 della Corte Suprema che ha cancellato il diritto costituzionale ad abortire introdotto da un’altra sentenza nel 1973 nel caso Roe vs. Wade, nda) e metterci in una situazione in cui 51 voti in Senato dovrebbero essere quanto basta per rendere ancora legali le protezioni per la libertà riproduttiva (la parola aborto è ora vietata nel gergo politico della sinistra, nda) e per la capacità di ogni persona e ogni donna (sic, every person and every woman, nda) di prendere decisioni sul proprio corpo e di non avere il governo che dice loro che cosa fare”.
Perché è “rivelatore”? Perché il filibustering è quanto di più efficace ci sia, nella pratica congressuale USA, per costringere gli eletti dei due partiti a ricercare soluzioni meno estreme, meno radicali. Tali, appunto, da dover essere bipartisan. Da molti anni è raro che un partito abbia, da solo, una super-maggioranza di 60 voti in Senato. Comunque, se l’avesse, vorrebbe dire che il Paese l’ha voluta e quindi è largamente in sintonia con quel sentire politico. Se un presidente, per poter firmare una legge, oltre alla maggioranza del 51% alla Camera deve anche fare affidamento su 60 senatori (dal 1975, prima erano i due terzi), significa che nel Paese c’è un consenso non risicato su quella legge.
L’idea di Harris, poi, di limitare a una legge sul diritto nazionale all’aborto la soppressione del filibustering è miope e naïf dal punto di vista politico. Una volta abolito da 51 senatori Democratici, il divieto potrebbe ovviamente essere ripristinato, nella dinamica propria dell’alternanza che è un cardine della democrazia USA, quando ci saranno 51 senatori del GOP.
Non a caso, diversi senatori Dem hanno già criticato l’idea di Harris, memori di un precedente che ha fatto storia. Nel 2013, il capo dei senatori Dem Harry Reid dribblò con un marchingegno procedurale la super-maggioranza di 60 senatori per far approvare alcuni giudici federali di corti distrettuali e di appello e portarli alla firma di Obama. La “furbizia” fu un clamoroso autogol. Quando toccò a Trump presidente di nominare dei giudici della Corte Suprema e il Senato era in mano al GOP, Mitch McConnell usò il precedente di Reid e fece approvare ben tre giudici supremi di fila, senza i 60 voti.
Harris ha mostrato ai moderati chi è davvero, con questa idea tutta sua. Non è una capriola, ma la prova che è una estremista, ideologicamente contraria alla ricerca del compromesso.