Kamala Harris, quando era senatrice in California, aveva soltanto Bernie Sanders alla sua sinistra, ma fu scelta da Biden come vice per il fatto di essere donna e nera. Gli americani avranno il tempo di sondare la collocazione di Harris in politica domestica ed estera e, a proposito di quest’ultima, oggi hanno avuto un assaggio.
La candidata in pectore dei Democratici ha snobbato il discorso che il primo ministro di Israele Bibi Netanyahu ha tenuto al Congresso di Washington con la scusa di un comizio elettorale fissato in precedenza in Indiana. Il messaggio al maggiore alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente non poteva essere più simbolico e offensivo per gli ebrei: la presidenza Harris sarà simpatetica con la causa dei palestinesi e ancora più critica di Israele di quanto non fosse la precedente. E lo schiaffo alla nazione e al popolo tradizionalmente amico arriva solo 10 mesi dopo l’attentato di massa di Hamas che ha ucciso 1.200 israeliani a casa loro (e anche qualche americano) e fatto dozzine di ostaggi. La strage di civili ebrei più grave dall’Olocausto.
La campagna presidenziale Harris-Trump è insomma già cominciata. Gli elettori, che conoscono il candidato Repubblicano alla nausea, dovranno ora sapere anche tutto, e di più, sulla nuovissima portabandiera Democratica. Ci sarà tempo per approfondire gli aspetti politici cruciali che metteranno l’uno contro l’altro i due sfidanti, anche in un dibattito TV, o magari più di uno, che è quanto ha proposto Trump.
Intanto, penso sia interessante partire da un aneddoto degli inizi della carriera di Harris, per presentare il personaggio sotto l’aspetto personale. Alla fine di gennaio 2019, Harris lanciò la sua campagna presidenziale per il 2020. Nella conferenza stampa di presentazione del suo programma, e della sua carriera fino al quel momento – General Attorney (Procuratore generale) dello Stato e senatrice -, ovviamente non fece alcun cenno su un fatto che era a tutti noto, e che aveva un risvolto personale intrigante. La stampa liberal, già invaghita di lei per la sua piattaforma di ultra-sinistra (mutua sanitaria e scuola gratis per tutti), non la stuzzicò sulla relazione, d’amore e d’interesse, che la aspirante presidente degli USA aveva avuto in passato con il più potente politico Democratico californiano, Willie Brown.
“Sì, siamo stati insieme. È successo più di 20 anni fa”, aveva appena ricordato Brown nella sua rubrica settimanale sul San Francisco Chronicle. E aveva aggiunto d’essere stato tampinato di recente “dai giornali nazionali sulla ‘relazione’ con Kamala, in particolare da quando era stato ovvio che avrebbe corso per la presidenza”. Quindi la materia era succosa, ma tirarla fuori mentre era sulla rampa di lancio delle sue speranze presidenziali era indelicato per i media locali.
Poi lei fallì spettacolarmente, ritirandosi prima della prima primaria visti gli impietosi sondaggi nazionali; ma questo è un altro discorso. Californiana, nera, indiana-caraibica, di famiglia ultra bene, liberal di sinistra, da giovanissima militante Harris s’era messa dunque con il più importante politico locale. La relazione, essendo lui sposato ma ufficialmente separato, non aveva fatto scandalo. Però era stata determinante nel costruire la carriera di Harris.
Il problema sulla sua vicenda personale non era tanto il gossip represso dai media amici in quel momento, ma lo stridente contrasto che emergeva, agli occhi di chi li teneva aperti, tra la Kamala del gennaio 2019 e quella di qualche tempo prima. La senatrice, 54 anni nel 2019, madre indiana tamil di buona casta e padre giamaicano professore di sinistra, era una aperta paladina del movimento #MeToo ed era stata mesi prima una leader della sguaiata opposizione in Congresso alla conferma del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema, sotto l’accusa senza prove di aver abusato di ragazze nei festini universitari. Quando aveva 29 anni, Harris era diventata amante di Willie Brown, afroamericano di 60 anni, boss Democratico di successo. Era lo Speaker del Parlamento californiano, carica che tenne dal 1980 al 1995, prima di diventare sindaco di San Francisco dal 1996 al 2004. Brown era una potenza, ricco di fascino e di posti ben pagati da distribuire. “Sì, posso aver influenzato la sua carriera nominandola a due cariche nelle commissioni statali quando ero Speaker”, ha scritto Brown della sua ex sul quotidiano di San Francisco. Un posto era nel Consiglio d’Appello per l’Assicurazione ai Disoccupati, l’altro nella Commissione per l’Assistenza Medica: insieme, i due incarichi fruttarono stipendi per 400 mila dollari (di 30 anni fa) in 5 anni. Per due riunioni mensili alla Commissione il gettone era di 99 mila dollari, pari a 150 mila dollari (del 2019).
Willie diede a Harris anche una BMW e, dopo che la loro relazione era finita, lui aveva continuato ad appoggiare la scalata politica della sua ex. “Di sicuro io l’ho aiutata nella sua prima elezione a Procuratore Generale della California”, ha scritto Brown nella rubrica. Quella carica è poi stata il trampolino per vincere il seggio da senatrice per la California in Congresso, anche grazie alle pressioni di Brown sul sindaco di Los Angeles Antonio Villaraigosa perché non si presentasse, lasciando così il campo libero per Harris. “Io avevo anche favorito le carriere della Speaker della Camera di Washington Nancy Pelosi, del governatore della California Gavin Newsom, della senatrice Dianne Feinstein e di molti altri politici”, ha ricordato Brown nell’articolo prima della stoccata all’ingrata Kamala: “La differenza è che Harris è la sola che, dopo che io l’ho aiutata, ha fatto girare la voce che sarei stato incriminato se avessi attraversato la strada con il rosso mentre lei era Procuratore Generale. Questa è la politica!”.
Il vecchio Willie s’era tolto allora un bel sassolino dalla scarpa. E ci ha regalato, ancora sfiziosa qualche decennio dopo, una “foto d’epoca” sull’arrivismo spregiudicato di Harris.