E così, un altro verdetto storico si aggiunge a questa stagione politica dei brutti record. Dopo il primo ex presidente ad essere stato dichiarato colpevole da una giuria popolare, è toccato ora al primo presidente in carica a vedere il proprio figlio dichiarato colpevole da un’altra giuria popolare. Se già questa combinazione non è di per sé edificante, aggiungiamo che i due, Donald Trump e Joe Biden, sono i candidati alla presidenza nelle prossime elezioni di novembre.
Detto questo, i due casi sono diversissimi nella sostanza legale, a partire dal fatto che nella giustizia americana la politica, anzi i partiti, giocano un ruolo pesantissimo. Il District Attorney è una carica elettiva, e chi ha incriminato Trump è un Democratico. È stato eletto e sostenuto da gruppi di attivisti di sinistra del network finanziato da George Soros con l’obiettivo di fare la guerra a Trump. A ogni costo. Basti pensare che lo stesso ministero della Giustizia del governo Biden non aveva ritenuto che ci fossero elementi per incriminare Trump di alcun reato federale, come quelli che riguardano il finanziamento di una campagna elettorale. Inoltre, non è un reato stipulare accordi extragiudiziali, ma una pratica usuale: quindi Trump non poteva essere condannato semplicemente per aver fatto pagare dal proprio avvocato alla ex amante 130mila dollari per comprare il silenzio di quest’ultima.
Per andare al sodo, la stampa mainstream ha fatto passare il messaggio che Trump ha zittito con i soldi Stormy Daniels, e tanto bastava perché fosse colpevole. Al massimo, ai più sofisticati è stata fornita l’aggiunta che l’aver dato i soldi all’amante (supposta, visto che Trump ha sempre negato che lo fosse e c’è la parola di lei contro quella di lui) fosse un finanziamento illegale della campagna elettorale. Ma un District Attorney statale non può mandare a giudizio qualcuno per un reato federale, e per trasformare le trascrizioni dei pagamenti nel bilancio della Trump Organization da falso contabile estinguibile con una multa a crimine che comporta 136 anni di galera, andava dimostrato un “intento” preciso, documentabile, da parte di Trump. Questo “intento”, difficilissimo da documentare, non è stato mai provato. Non a caso gli esperti (di sinistra) delle cause contro Trump avevano sempre giudicato il caso Stormy il più fragile.
Ma qui è subentrata la giuria. A Manhattan, i Democratici nelle liste dei votanti sono sei o sette volte tanto i Repubblicani. Quindi, al pari del District Attorney del partito di Biden, i giurati popolari, anch’essi tutti (molto probabilmente) Democratici, hanno dichiarato colpevole l’avversario politico.
Questo equivale a condannare il sistema giudiziario, sempre e in toto, come fazioso e inaffidabile? No. Sarebbe sconsolante pensare che non esistano in America, nemmeno nella “blu” New York, cittadini con il senso di una giustizia alta, superiore alla propria passione politica. Preferisco credere che, di fronte a un caso giudiziario oggettivamente macchinoso e complesso, e con in palio la testa del personaggio più odiato e pericolosamente in grado di battere il loro preferito Biden, la giuria di Manhattan abbia optato per la scelta politicamente corretta. Un finale già capitato, e passato alla storia, con il caso, opposto, dell’assoluzione del nero OJ Simpson, che “non doveva” essere trovato colpevole, e così fu.
E il caso del “First Felon”, il “Primo Criminale”, come il New York Post sbeffeggia il figlio di Biden? Non facciamolo per favore passare come la prova che la giustizia è cieca: ieri condanna Trump, oggi Hunter Biden. I crimini di cui è stato dichiarato colpevole il rampollo del presidente sono tre, uno più provato dell’altro. Difficile girarci attorno. Ha comprato una pistola dichiarando al negozio, per iscritto, che non era drogato. Invece lo era, e non gliela avrebbero venduta se l’avesse ammesso. Poi ha mentito alla FBI, ripetendo alla domanda federale ufficiale che non era drogato. E poi ha posseduto una pistola ottenuta illegalmente. Che sia colpevole, per quanto ha fatto, non lo può negare nessuno. Neppure la giuria, presumibilmente democratica, del Delaware, lo Stato della famiglia Biden. Per lui sono possibili, in tutto, 25 anni dietro le sbarre. Ma quello della galera, per l’uno e per l’altro, è il secondo tempo di questa molto poco edificante partita.