Politica ed economia, economia e politica. Il futuro – e il presente – da superpotenza della Cina passano dalle alleanze internazionali e da un forte sistema produttivo-commerciale. In modo che, in entrambi gli ambiti, sia Pechino ad avere il coltello dalla parte del manico.
È sotto questa chiave di lettura che vanno visti i quasi contemporanei arrivi della segretaria al Tesoro USA Janet Yellen e del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov nella capitale asiatica. Alla corte di Pechino non c’è spazio, o ce n’è pochissimo, per qualsiasi forma di idealismo: il Dragone è di un pragmatico al limite del cinismo. In fin dei conti, gli affari sono affari – che si tratti di business o di biznes (pronunciato alla russa).
E di affari si è parlato abbondantemente nella visita di Yellen, la seconda in nove mesi della ministra dell’Economia di Biden nel Paese est-asiatico. Nonostante il resoconto generalmente ottimistico fornito dai media ufficiali cinesi, la quattro-giorni è servita all’ex governatrice della Fed per ribadire la ferma posizione di Washington: stop ai sussidi statali a veicoli elettrici, pannelli solari e batterie agli ioni di litio o sarà guerra commerciale.
La concorrenza sleale dell’industria di Pechino mette a rischio milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti – e poco importa che Washington sia a sua volta accusata di falsare la competizione fornendo sussidi miliardari all’industria “green”, con sommo disappunto dell’Unione europea.
“Quando il mercato globale viene inondato da prodotti cinesi artificialmente a basso costo, la redditività delle imprese americane e di altre imprese straniere viene messa in discussione”, ha sintetizzato Yellen ai giornalisti lo scorso lunedì. Perciò l’invito lanciato tanto al premier Li Qiang quanto al vicepremier He Lifeng è di far in modo che la Cina aderisca “alle norme fondamentali dell’economia di mercato di una concorrenza leale e di una cooperazione aperta”.
Nei documenti ufficiali la parola “cooperazione” viene ripetuta più volte. Su entrambe le sponde del Pacifico è avvertita la necessità di evitare una nuova Guerra Fredda. Le statistiche parlano chiaro: l’interscambio commerciale attuale tra USA e Cina vale poco meno di 760 miliardi – tre quarti dei quali costituiti dall’export cinese. Quello (ufficiale) tra USA e URSS valeva appena 2 miliardi di dollari.
La missione di Yellen a Pechino serve anche a mantenere aperti e costanti i canali di comunicazione con Pechino in modo da gestire la competizione globale e scongiurare un confronto involontario – come ribadito ai più alti livelli da Biden e Xi nel loro colloquio telefonico di una settimana fa, il primo dopo il vertice di novembre a San Francisco.

Collaborare, però, non vuol dire certo assecondare. E nella rosa di dossier che dividono le due superpotenze c’è l’imbarazzo della scelta: dalla Russia a Taiwan, passando per il Mar Cinese Meridionale, l’Africa e l’America Latina.
L’argomento più spinoso in assoluto rimane chiaramente proprio la partnership con la Russia, oltre al presunto supporto logistico di Pechino all’alleato russo. Durante il suo viaggio, Yellen ha avvertito il vicepremier He Lifeng che le aziende del Dragone che forniscono “sostegno materiale” – ossia equipaggiamento e tecnologia varia – alle truppe russe in Ucraina potrebbero andare incontro a “conseguenze significative“, secondo quanto riportato dal Tesoro in una sintesi dell’incontro.
Parole che riecheggiano quelle che, secondo il Financial Times, sarebbero state pronunciate la scorsa settimana dal segretario di Stato Antony Blinken a Bruxelles ai ministri degli Esteri dell’Unione Europea e della NATO: Pechino starebbe sostenendo Mosca “su una scala rilevante”, fornendo alla Russia competenze tecniche ed equipaggiamento aggiuntivo.
Il Dragone smentisce da tempo il coinvolgimento nella guerra, considerandosi neutrale e favorevole alla pace. Al tempo stesso, però, non ha mai formalmente condannato l’invasione russa e anzi ha approfondito i legami commerciali, diplomatici ed energetici con il Cremlino, colmando parzialmente il vuoto lasciato dall’Occidente. A dimostrarlo è l’interscambio Mosca-Pechino, che nel 2023 ha raggiunto la cifra record di 240 miliardi di dollari.
Il sempre maggiore avvicinamento strategico tra Pechino e Mosca ha verosimilmente dominato i “temi caldi” che Mosca ha elencato come oggetto dei dialoghi del ministro degli Esteri Sergej Lavrov con la controparte cinese Wang Yi.
“Pechino e Mosca continueranno a rafforzare la cooperazione strategica sulla scena mondiale e a fornirsi reciprocamente un forte sostegno”, ha dichiarato Wang, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa RIA Novosti. “Sotto la forte guida del Presidente Putin, il popolo russo avrà un futuro luminoso”, ha aggiunto, facendo riferimento alla recente riconferma dello ‘zar’ pietroburghese.

Russia e Cina hanno d’altronde tutto l’interesse di sostenersi a vicenda: entrambi gli Stati mal sopportano le pretese statunitensi di evangelizzazione del mondo al verbo democratico-liberale – preferendo un approccio multilaterale dal sapore ottocentesco in cui un manipolo di potenze si spartiscano di fatto il mondo in sfere d’influenza (come dimostrano le azioni di Putin in Ucraina e quelle di Xi nell’Indo-Pacifico).
Un po’ per suggellare l’intesa un po’ per ingraziarsi la platea, Lavrov non ha esitato a tracciare un parallelo tra le “sanzioni illegali” dell’Occidente contro Mosca e i tentativi della Casa Bianca di limitare l’accesso cinese alle tecnologie sensibili made in USA. Il capo-diplomatico moscovita ha contestualmente accusato l’Occidente a trazione americana di cercare di ostacolare le “opportunità di sviluppo economico e tecnologico della Cina, in parole povere per eliminare i concorrenti”.
Wang, a sua volta, ha dichiarato che Russia e Cina “si attengono sempre al percorso corretto sulle grandi questioni di principio (…) e devono opporsi a tutti gli atti di egemonia, tirannia e prepotenza, alla mentalità da Guerra Fredda e alle provocazioni separatiste, e spingere attivamente per la costruzione di un futuro comune per tutta l’umanità”.
Più che una vera e propria alleanza, tuttavia, quella tra Pechino e Mosca sembra appunto una joint venture contro l’egemonia occidentale finalizzata all’agognato multilateralismo. E non c’è dubbio che nel pensiero degli strateghi pechinesi il socio di maggioranza sia proprio Pechino – le cui grandezza economica e influenza politica hanno da tempo sorpassato quelle di Mosca.