“Abbiamo superato il punto di non ritorno”. Con queste parole il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha lanciato, dal Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, un nuovo appello disperato alla comunità internazionale per salvare il pianeta da una crisi climatica ormai fuori controllo.
Nel suo intervento speciale intitolato “A Moment of Opportunity: Supercharging the Clean Energy Age”, Guterres ha voluto ribaltare la narrativa del disastro imminente, offrendo invece una finestra di possibilità, forse l’ultima, per guidare con giustizia e rapidità la transizione verso un’energia pulita. Il messaggio arriva a pochi mesi dalla COP30 di novembre a Belém, in Brasile, e accompagna la pubblicazione di un rapporto tecnico realizzato con il contributo di IEA, IMF, IRENA, OCSE e Banca Mondiale.
“La transizione energetica è inarrestabile”, ha detto Guterres, “ma non è ancora abbastanza veloce, né abbastanza equa”. E ha aggiunto: “L’era dei combustibili fossili sta fallendo. Siamo all’alba di una nuova era energetica”.
A sostegno della sua tesi, Guterres ha portato numeri precisi: nel 2023, gli investimenti globali nelle energie rinnovabili hanno toccato i 2 trilioni di dollari, superando di 800 miliardi quelli nei fossili. In soli dieci anni, il costo del solare è crollato del 41% e quello dell’eolico offshore del 53%. Oltre il 90% della nuova capacità energetica installata nel mondo proviene da fonti rinnovabili.
“Non si tratta solo di un cambio di fonte energetica. È un cambio di possibilità”, ha sottolineato, ricordando che ormai le rinnovabili rappresentano quasi la metà della capacità energetica globale installata. “Nessun governo, industria o interesse particolare può fermare questo processo”.
Oltre al fattore economico, Guterres ha insistito sull’impatto geopolitico della transizione. “La maggiore minaccia alla sicurezza energetica oggi sono i combustibili fossili”, ha dichiarato, ricordando gli effetti globali dell’invasione russa dell’Ucraina. “Non ci sono picchi di prezzo per il sole. Nessun embargo sul vento. Le rinnovabili significano vera sovranità energetica”.
Il Segretario Generale ha poi delineato sei ambiti prioritari su cui agire subito:
- Nuovi piani nazionali per il clima (NDCs) coerenti con l’obiettivo di contenere il riscaldamento entro 1,5°C.
- Investimenti nelle infrastrutture: reti moderne, stoccaggio dell’energia, trasporti elettrificati.
- Gestione sostenibile della domanda: con attenzione all’intelligenza artificiale, che rischia di aumentare enormemente il consumo energetico.
- Transizione giusta: protezione sociale, formazione per i lavoratori, rispetto dei diritti umani nella filiera dei minerali critici.
- Riforma del commercio: abbattimento dei dazi sulle tecnologie pulite, lotta agli arbitrati che bloccano la transizione.
- Finanza climatica: mobilitare capitali verso i paesi emergenti, dove oggi arriva solo il 2% degli investimenti, nonostante rappresentino il cuore del potenziale solare globale.
Particolarmente duro è stato il passaggio sui finanziamenti: “L’Africa possiede il 60% delle risorse solari del pianeta, ma riceve appena il 2% degli investimenti”, ha denunciato Guterres. Ha chiesto una riforma urgente della finanza internazionale, l’espansione del ruolo delle banche multilaterali e l’adozione di strumenti come lo scambio debito-clima.
“Servono politiche che rendano il futuro pulito non solo inevitabile, ma anche conveniente per gli investitori”, ha affermato, criticando i sussidi ai combustibili fossili e i modelli di rischio obsoleti che penalizzano i paesi in via di sviluppo.
In chiusura, Guterres ha fatto appello al coraggio politico: “Il mondo dei combustibili fossili sta fallendo. Siamo all’alba di una nuova era. Ma non accadrà da sola, non abbastanza in fretta, né in modo abbastanza giusto. È compito nostro”.
E ha concluso: “Abbiamo gli strumenti per alimentare il futuro dell’umanità. Usiamoli. Questo è il nostro momento di opportunità”.
Le parole di Guterres risuonano con urgenza, ma si scontrano con la realtà politica statunitense: il presidente degli Stati Uniti, ancora una volta l’uomo più potente del pianeta, sta riportando l’orologio climatico indietro. Con il via libera a nuove trivellazioni, il rilancio dell’industria del carbone e il taglio ai fondi per la cooperazione climatica internazionale, Trump ha già cominciato a smantellare gli impegni presi dagli USA negli anni scorsi. E se nulla cambierà, almeno fino al 2029 gli Stati Uniti — che da soli producono oltre il 13% delle emissioni globali — saranno guidati da un’amministrazione ostile alla transizione verde. Guterres l’ha detto chiaramente: “Nessun interesse particolare può fermare la transizione.” Ma è davvero così, quando chi frena siede alla Casa Bianca?