Una nuova ondata di violenza settaria nel sud della Siria e i bombardamenti israeliani su Damasco rischiano di mandare in frantumi ogni prospettiva di pace. È questo l’allarme lanciato giovedì al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da Mohamed Khaled Khiari, Assistente del Segretario Generale per il Medio Oriente.
Secondo Khiari, la situazione nella provincia a maggioranza drusa di Sweida è precipitata dal 12 luglio, quando una serie di rapimenti reciproci tra tribù beduine e gruppi armati drusi è degenerata in scontri a fuoco. Il 14 luglio, le forze governative siriane sono intervenute per “ristabilire l’ordine”, ma sono state a loro volta coinvolte in combattimenti cruenti. Decine di agenti sarebbero stati uccisi o rapiti, mentre diverse violazioni contro i civili sarebbero state commesse durante l’operazione.
Il bilancio è gravissimo: centinaia di morti e feriti, anche tra donne, bambini e anziani, danni estesi alle infrastrutture, sfollamenti di massa e ospedali “al limite della capacità operativa”, aggravati da tagli alla corrente elettrica e all’approvvigionamento idrico. “Ci sono state ulteriori segnalazioni allarmanti di esecuzioni extragiudiziali, umiliazioni pubbliche e trattamenti degradanti ai danni di civili, religiosi e detenuti”, ha riferito Khiari.
La tensione si è poi estesa alle alture del Golan, dove centinaia di drusi – da entrambi i lati della linea di cessate il fuoco – si sono radunati in segno di solidarietà con la comunità di Sweida, mentre le Forze di Difesa Israeliane (IDF) restavano in stato di allerta.

In questo contesto, ha denunciato Khiari, Israele ha lanciato tra il 12 e il 16 luglio “attacchi aerei” contro obiettivi siriani, colpendo forze governative, installazioni militari, edifici ufficiali e persino l’area intorno al Palazzo Presidenziale di Damasco. “Oltre a violare la sovranità siriana, queste azioni destabilizzano ulteriormente il paese e compromettono gli sforzi per costruire una nuova Siria in pace con sé stessa e con la regione”, ha dichiarato il funzionario ONU.
Anche sul piano umanitario la crisi si aggrava: secondo l’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), gli scontri e le chiusure stradali stanno ostacolando gravemente la distribuzione di aiuti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è riuscita a inviare forniture mediche d’emergenza a Daraa, ma Sweida rimane inaccessibile.
Khiari ha ribadito l’appello del Segretario Generale António Guterres affinché “tutti i siriani siano protetti senza distinzioni” e ha chiesto alle autorità di Damasco che le indagini sulle presunte violazioni siano “trasparenti e coerenti con gli standard internazionali”.
Infine, ha rilanciato la necessità di un processo politico inclusivo, di proprietà siriana, come previsto dalla risoluzione 2254 del Consiglio: “La sicurezza e la stabilità in Sweida – e in una Siria post-Assad – possono essere raggiunte solo attraverso una riconciliazione autentica e con la partecipazione di tutte le componenti della società siriana”.

Dura la reazione del rappresentante siriano alle Nazioni Unite, Koussay Aldahhak: “La Siria respinge categoricamente il pretesto usato da Israele per giustificare questi atti di aggressione”. Ha poi accusato Tel Aviv di voler trascinare il Paese in una nuova fase di destabilizzazione: “Questi attacchi, culminati il 16 luglio con bombardamenti nel cuore di Damasco durante l’ora di punta, non fanno che prolungare la politica di occupazione e mettere in pericolo la nostra sovranità”.
Anche l’ambasciatrice americana Dorothy Shea, intervenuta come rappresentante ad interim degli Stati Uniti, ha espresso “ferma condanna della violenza a Sweida” e ha lanciato un appello affinché “tutte le parti si ritirino e si impegnino in un dialogo significativo che porti a un cessate il fuoco duraturo”. Shea ha precisato che “gli Stati Uniti non hanno sostenuto i recenti attacchi israeliani”, ma ha aggiunto che Washington sta “dialogando diplomaticamente con Israele e Siria – ai massimi livelli – per affrontare la crisi attuale e raggiungere un accordo duraturo tra due Stati sovrani”.
Shea ha anche ribadito che “il governo siriano deve indagare su tutti gli abusi e punire i responsabili”, sottolineando l’impegno americano per “l’unità nazionale della Siria e una risoluzione pacifica e inclusiva con tutte le sue componenti minoritarie”.
Anche il gruppo A3+ (Sierra Leone, Algeria, Guyana e Somalia) ha condannato gli attacchi israeliani come “chiara violazione del diritto internazionale”, sottolineando che “entrambe le parti devono rispettare l’accordo del 1974 e osservare scrupolosamente il cessate il fuoco”. Hanno inoltre ribadito che “è responsabilità delle autorità transitorie siriane proteggere tutti i cittadini, inclusa la comunità drusa”.
Alla riunione, per la Grecia, ha parteciapto il ministro degli Esteri George Gerapetritis che ha denunciato “tutti gli attacchi contro civili e luoghi religiosi”, menzionando in particolare l’attentato alla Chiesa greco-cattolica di Mar Michael e l’attacco precedente contro la chiesa ortodossa di Mar Elias. “La protezione delle minoranze religiose è fondamentale per un futuro siriano unito e sicuro”, ha detto, chiedendo “un’inchiesta rapida e conforme agli standard internazionali”.
Il conflitto siriano – ormai entrato nel quattordicesimo anno – mostra ancora una volta quanto fragile sia il cammino verso una pace duratura. E quanto ogni nuova crisi rischi di compromettere quel poco che resta del processo di transizione politica.