Dopo quasi sette mesi di assenza politica degli Stati Uniti al Palazzo di Vetro, l’audizione al Senato per la conferma di Mike Waltz come ambasciatore all’ONU ha riportato al centro del dibattito una domanda cruciale: gli USA devono ancora investire nelle Nazioni Unite oppure voltare pagina?
Ex berretto verde, ex deputato della Florida ed ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, Waltz non ha mai nascosto il suo scetticismo verso l’ONU. Eppure, durante la sua audizione, è emersa una visione più pragmatica che ideologica: il Palazzo di Vetro, ha detto, “dovrebbe essere l’unico luogo al mondo dove tutti possano parlarsi — ma dopo 80 anni si è allontanato dalla sua missione originaria di pacificazione”.
Waltz ha denunciato “sprechi, frodi e abusi endemici” nel sistema delle Nazioni Unite, criticando la moltiplicazione delle agenzie e delle missioni di peacekeeping “senza fine né chiari obiettivi”. Tuttavia, ha riconosciuto che gli Stati Uniti, anche con tagli e revisioni, restano “di gran lunga la nazione più generosa del mondo” e che proprio per questo devono pretendere risultati, trasparenza e riforme.
Al centro della sua visione per l’ONU c’è la volontà di “tornare alla Carta delle Nazioni Unite e ai suoi principi fondamentali”, sostenendo il piano UN80 del Segretario Generale Guterres, che propone un taglio del 20% del personale e una razionalizzazione delle missioni.

Non sono mancati momenti tesi durante l’audizione, in particolare quando si è toccato il tema dell’antisemitismo. Rispondendo a una domanda diretta su cosa intendesse fare per contrastare il “pregiudizio anti-israeliano” alle Nazioni Unite, Waltz ha risposto: “È pervasivo. Potrei passare il resto di questa audizione a elencare attività antisemite. Uno degli esempi più gravi è l’articolo 7 del Consiglio per i diritti umani, che prevede un mandato permanente per esaminare presunte violazioni dei diritti umani da parte di Israele in ogni singola sessione. È in vigore da decenni”.
Waltz ha anche citato numeri concreti: “Dal 2015 al 2023, l’Assemblea Generale ha approvato 154 risoluzioni contro Israele, contro 71 rivolte a tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme”. Poi ha affondato: “Sostengo la richiesta del Segretario [di Stato] per l’applicazione di sanzioni contro la relatrice speciale Francesca Albanese. Credo sia l’emblema dell’antisemitismo all’interno dell’ONU”.
Ma Waltz non si è fermato alla denuncia. Ha affermato che per affrontare seriamente il problema sarà necessario “lavorare con Israele e con i nostri alleati per capire perché questo accade e cosa fare per fermarlo”.

A proposito della crisi a Gaza, ha ribadito una posizione netta: “Capisco la gravità della situazione umanitaria, ma dirò più volte che se Hamas deponesse le armi, se smettesse di sacrificare il proprio popolo, i combattimenti finirebbero oggi stesso”. Una linea che ha trovato l’appoggio del senatore repubblicano Ricketts, che ha replicato: “Non ho visto nulla uscire dall’ONU che chieda ad Hamas di arrendersi, eppure è così che questo conflitto può finire e il popolo di Gaza iniziare a sperare in una vita migliore”.
Waltz ha poi parlato a lungo del ruolo della Cina all’interno delle Nazioni Unite, definendo “assurdo” che la seconda economia mondiale venga ancora trattata come un Paese in via di sviluppo in molte agenzie, ottenendo così status preferenziali. “È fondamentale contrastare l’influenza cinese”, ha detto, promettendo di collaborare con il Segretario di Stato Marco Rubio e con i leader repubblicani per impedire che la Cina continui a piazzare i propri funzionari in posizioni chiave, dalle telecomunicazioni all’aviazione civile.
“President Trump has brought dozens of hostages home, justice for our Abbey Gate Gold Star families, secured the border, denied Iran a nuclear weapon, brought ceasefires to conflicts in Africa, the Middle East and Asia. Yet there is still tremendous work to be done”… pic.twitter.com/wyQbmmTkVb
— Veterans On Duty (@VeteransOnDuty) July 15, 2025
Riguardo al bilancio ONU, Waltz ha sottolineato che “le entrate dell’ONU sono quadruplicate negli ultimi vent’anni, ma non abbiamo assistito a un quadruplicarsi della pace nel mondo”. Secondo lui, le missioni devono avere un mandato limitato nel tempo, obiettivi chiari e una gestione più efficiente. “Ogni dollaro della cooperazione internazionale — ha detto — deve essere direttamente collegato a un interesse nazionale americano”.
In questo scenario, la sua nomina rappresenta una svolta. Dal gennaio 2025, la missione americana presso le Nazioni Unite è retta da una incaricata d’affari ad interim, senza accesso diretto al presidente e con margini operativi ridottissimi. Per un’istituzione come l’ONU, fondata soprattutto grazie alla volontà e spinta degli Stati Uniti, questa assenza è apparsa come un abbandono politico. Con Waltz gli Stati Uniti potrebbero tornare a sedersi al tavolo con una voce forte e riconoscibile.
Seppur critico e ideologicamente distante dal multilateralismo tradizionale, Waltz conosce il linguaggio della diplomazia e quello della politica interna americana. È forse, paradossalmente, l’unico in grado di convincere Trump che l’ONU — pur da riformare — resta ancora uno strumento utile per l’America e per il mondo. Questo, naturalmente, a patto che la sua nomina, dopo la defenestrazione dall’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale per le note vicende del “Signal Gate”, non sia soltanto un contentino di consolazione, ma un messaggio — forse inatteso — di rilancio. Non solo per lui, ma soprattutto per la politica estera multilaterale degli Stati Uniti.
In tempi in cui il dialogo internazionale è fragile e le guerre si moltiplicano, avere un ambasciatore con un mandato politico chiaro è meglio che restare nel silenzio. Anche da una posizione critica, può arrivare un nuovo inizio.