Le Nazioni Unite scendono in campo per difendere Francesca Albanese, la Relatrice Speciale sui diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, dopo che il governo degli Stati Uniti ha annunciato sanzioni nei suoi confronti. Washington accusa la giurista italiana di “collaborazione indebita con la Corte Penale Internazionale” e di aver promosso una “campagna di guerra economica contro l’economia mondiale”.
Ma per l’ONU, la decisione dell’amministrazione Trump rappresenta un attacco senza precedenti al sistema multilaterale dei diritti umani. Il portavoce del Segretario Generale, Stéphane Dujarric, ha parlato apertamente di “pericoloso precedente”, aggiungendo che “l’uso di sanzioni unilaterali contro esperti indipendenti delle Nazioni Unite è inaccettabile”. Dujarric ha anche ricordato che gli Stati membri hanno pieno diritto di dissentire dai rapporti dei Rapporteurs, ma devono farlo “interagendo con l’architettura dei diritti umani dell’ONU, non con misure punitive”.
Nel briefing quotidiano al Palazzo di Vetro di giovedì, alla domanda se il Segretario Generale António Guterres sostenesse personalmente Albanese, il portavoce Dujarric ha risposto evitando un endorsement diretto, ma riaffermando con fermezza il principio: “Il Segretario Generale rispetta il lavoro di tutti i relatori speciali per i diritti umani dell’ONU. Il loro ruolo è parte essenziale dell’architettura dei diritti umani. Il punto è che sanzioni unilaterali mirate contro esperti dell’ONU, come la signora Albanese, sono semplicemente inaccettabili”.
A chi chiedeva se ci fosse stata una comunicazione diretta tra Guterres e l’Amministrazione USA, Dujarric ha confermato che l’ONU sta rispondendo a una lettera formale dell’ambasciatrice americana Dorothy Shea.
Interrogato poi sull’eventuale arrivo di Francesca Albanese a New York per riferire al Consiglio di Sicurezza, il portavoce ha precisato che “l’accesso al Palazzo di Vetro non è un problema”. Ma ha ricordato che “l’ingresso negli Stati Uniti dipende dal governo americano, che è vincolato dall’accordo di sede con le Nazioni Unite a facilitare l’ingresso di diplomatici ed esperti”.
Infine, alla domanda su accuse simili espresse ad Albanese anche da altri Paesi, come la Francia, Dujarric ha ribadito che “i Rapporteurs sono indipendenti, nominati dagli Stati membri” e che “il disaccordo non giustifica le sanzioni, ma semmai il dialogo diplomatico”.
Anche l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Volker Türk, ha chiesto il ritiro immediato delle sanzioni, esortando gli Stati a rispondere “con dialogo e non con rappresaglie”. Il presidente del Consiglio dei Diritti Umani, Jürg Lauber, ha invitato tutti i membri ONU a “cooperare pienamente con gli esperti e a proteggerli da intimidazioni e attacchi”.
La mossa americana arriva dopo la presentazione da parte di Albanese di quello che è probabilmente il rapporto più esplosivo del suo mandato: “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, un dossier di 38 pagine che ha scosso il Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra.
Nel documento, Albanese denuncia come “il genocidio di Gaza continui perché è redditizio per molti”. La relatrice elenca 48 imprese multinazionali – dai colossi della difesa Lockheed Martin, Boeing e Leonardo, ai giganti della tecnologia Alphabet, Microsoft e Amazon – accusate di trarre profitto diretto o indiretto dall’offensiva israeliana nei Territori Palestinesi.
In conferenza stampa, Albanese ha parlato di “Palestina come scena del crimine con le nostre impronte sopra”, aggiungendo che “se 60.000 morti non bastano a fermare la fornitura di armi, vuol dire che per qualcuno il massacro è business”. Ha anche denunciato che, mentre Gaza veniva devastata, la Borsa di Tel Aviv è salita del 213%, generando oltre 220 miliardi di dollari di capitalizzazione, “67 solo nell’ultimo mese”.
Il suo appello è stato chiaro: embargo totale sulle armi verso Israele e sospensione di tutti gli accordi commerciali con le aziende implicate. “Non c’è differenza fra economia dentro e fuori la Linea Verde: acqua, elettricità, infrastrutture digitali legano le colonie allo Stato”, ha affermato.
Washington, già da settimane in pressing per la sua rimozione ha alzato il tiro. Con una nota diffusa il 1° luglio, la Missione USA presso l’ONU ha chiesto ufficialmente al Segretario Generale António Guterres di “prendere le distanze” da Albanese, minacciando “azioni significative” in caso contrario.
Poi, l’annuncio delle sanzioni personali firmate dal Segretario di Stato Marco Rubio: congelamento di beni, restrizioni sui visti, accusa di antisemitismo e di incitamento economico contro Israele e i suoi alleati.
Israele, attraverso la sua missione a Ginevra, ha bollato il rapporto come “giuridicamente infondato, diffamatorio e abuso di mandato”, accusando Albanese di voler “delegittimare l’esistenza stessa di Israele”. Netanyahu insiste che l’operazione a Gaza è una “legittima difesa contro il terrorismo di Hamas” e rigetta ogni accusa di genocidio.
Ma mentre a Washington e Tel Aviv si lavora per silenziare la relatrice, Albanese trova sostegno in ampie parti del cosiddetto “Sud globale”. In aula, al momento della presentazione, molti rappresentanti africani, asiatici e latinoamericani le hanno tributato un applauso raro nelle procedure ONU, definendola “voce di chi non ha voce”.
Il Consiglio per i Diritti Umani valuterà nei prossimi mesi le raccomandazioni contenute nel rapporto, ma la battaglia è già politica: se Washington dovesse insistere per rimuovere Albanese, è probabile una controffensiva diplomatica da parte di molti Stati non allineati. Il rischio, per l’ONU, è che il caso diventi un referendum globale sulla credibilità e indipendenza del sistema dei Rapporteurs.
Francesca Albanese, giurista irpina di 46 anni, durante la conferenza stampa di qualche giorno fa a Ginevra aveva dichiarato: “Vivo questa missione con dolore e sacrificio, ma il Consiglio ha confermato che non ho violato il codice di condotta. Sono pronta al confronto, non alla censura”.
Dopo le sanzioni annunciate nei suoi confronti dal segretario di Stato americano Marco Rubio, in un’intervista ad Al Jazeera, Albanese ha dichiarato che “le sanzioni funzioneranno solo se la gente avrà paura e smetterà di impegnarsi”, sottolineando come la sua azione venga ostacolata da pressioni simili a “tecniche di intimidazione mafiosa”, volte a distruggere la reputazione di chi denuncia crimini e collusioni. Albanese ha raccontato di provenire da un Paese dove attivisti, giudici e avvocati sono stati uccisi per aver difeso la giustizia, e ha ribadito che la paura non deve avere la meglio: “Insieme possiamo fermare questa vergogna, ma dobbiamo risvegliarci e unirci”.