Mercoledì ricorreva l’anniversario del Vertice Mondiale del 2005, quando i leader del mondo intero promisero che la sovranità degli Stati non sarebbe più servita da scudo contro i crimini di massa. Se uno Stato non protegge i suoi cittadini da genocidi, pulizie etniche, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, allora la comunità internazionale – così dissero – ha il dovere di intervenire. Venti anni dopo, il Segretario Generale dell’ONU António Guterres è tornato sull’argomento: ha definito la “Responsabilità di Proteggere” (R2P) una “necessità urgente”, un “imperativo morale” e una “promessa non mantenuta”.
Il mondo, ha ammonito nel suo discorso all’Assemblea Generale, è più violento di quanto non sia stato dal 1945 e troppe volte gli allarmi vengono ignorati, le prove negate o minimizzate, le risposte sono tardive, deboli, incoerenti. I civili, come sempre, pagano il prezzo più alto.
R2P nasce come risposta morale alle paralisi internazionali davanti a Bosnia e Rwanda. Quegli orrori non dovevano più ripetersi. Per qualche anno sembrò davvero che il principio stesse prendendo piede. Ma poi è arrivata la Libia.
Nel 2011, con la scusa di “proteggere i civili”, Stati Uniti, Francia e Regno Unito lanciarono una campagna militare che in realtà portò al rovesciamento di Gheddafi. Il mandato ONU fu oltrepassato. Il Paese è sprofondato nel caos. E da allora, nessuno ha più avuto il coraggio di invocare R2P. In Siria, in Myanmar, nello Yemen, a Gaza: silenzio. Il principio è diventato tabù.
Sempre mercoledì, il Consiglio di Sicurezza ha discusso il rapporto annuale sui bambini nei conflitti armati. I numeri sono agghiaccianti: 41.370 violazioni gravi nel 2024 – un record. Bambini uccisi, mutilati, rapiti, traumatizzati. A parlare è stata anche Sila, 17 anni, da Idlib: “Ho paura del buio, del silenzio, di ogni rumore che ricorda un aereo.” L’UNICEF è stato diretto: “Ogni bambino colpito è un fallimento morale”.
Eppure nessuno ha parlato di R2P. Nessuna risoluzione vincolante. Nessuna minaccia di sanzioni. Nessuna azione. Solo parole.
Come ha scritto Kate Ferguson, “la Libia ha dato a R2P una cattiva reputazione”. Il precedente libico è stato un boomerang che ha reso sospetti tutti gli interventi umanitari successivi. Oggi, a distanza di anni, la parola “Responsabilità di Proteggere” non si osa nemmeno pronunciare nei corridoi dell’ONU. Il rischio è che venga confusa con un altro pretesto neocoloniale.
Guterres lo ha detto chiaramente: le risposte sono spesso “incoerenti” e “minate dai doppi standard”. È la frase chiave. Se R2P vale per la Libia, perché non per Gaza? Perché non per il Sudan? Perché non per i Rohingya? La risposta è semplice: perché i governi potenti difendono i propri alleati, e bloccano tutto con i veti. Il Consiglio di Sicurezza è paralizzato.
La giornata di oggi, tra la commemorazione dei 20 anni del vertice del 2005 e la riunione del Consiglio, è un’occasione sprecata. La “Joint Office” dell’ONU per la prevenzione dei genocidi e l’attuazione di R2P è oggi un guscio vuoto. Senza fondi. Senza potere. Senza volontà politica. È solo vetrina, simbolismo, PR.
We can’t afford to return to dark ages, when children were invisible & voiceless victims of armed conflict. The CAAC mandate has striven for 30 years to bring these children to light. Let’s not allow them to slip back into the shadows of despair – SRSG Gamba Open Debate on #CAAC pic.twitter.com/vX4er1ZvWU
— Children and Armed Conflict 📍 #ProveItMatters (@childreninwar) June 25, 2025
E mentre i bambini siriani vengono mutilati e le scuole bombardate, i diplomatici prendono nota. Ma nessuno agisce.
Un piano c’è ancora?
Il principio R2P si basa su tre pilastri: lo Stato deve proteggere i suoi cittadini; la comunità internazionale deve aiutarlo a farlo; e se fallisce, bisogna agire collettivamente. Questo schema non è cambiato. Ma oggi è carta straccia.
Servono meccanismi vincolanti. Serve che la “Joint Office” abbia fondi veri e una linea diretta col Segretario Generale. Serve che i grandi Stati smettano di abusare della R2P quando conviene – e di ignorarla quando non conviene.
Vent’anni fa, il mondo aveva promesso: mai più. Mai più genocidi ignorati. Mai più civili sacrificabili. Mai più bambini nel mirino. E invece, siamo tornati lì: l’ONU come teatro di parole, i civili come numeri in un report, e i bambini come danni collaterali.
La verità è che la morte di R2P non è stata causata da errori, ma da ipocrisia. È stata distrutta dalla politicizzazione e dai doppi standard. Se oggi l’ONU vuole davvero riscattarsi, questo anniversario deve diventare un punto di svolta. Non un rituale, ma un risveglio. Perché ogni volta che si volta lo sguardo di fronte a un massacro di civili, a morire non è solo un popolo. Muore anche la credibilità dell’ordine internazionale. E la nostra coscienza collettiva.