Una teca illuminata accoglie la Carta originale delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco 80 anni fa. È l’emblema della mostra inaugurata presso il Palazzo di Vetro a New York dal Segretario Generale António Guterres e dal Presidente dell’Assemblea Generale, Philemon Yang. Un tributo alla promessa di pace e cooperazione nata nel 1945 — ma anche un monito, in tempi in cui la Carta appare più fragile che mai.
“La mostra non rende solo omaggio all’ONU, ma allo spirito di San Francisco,” ha detto Yang. “Un ordine mondiale fondato sulla cooperazione internazionale e sulla dignità umana.” Nel suo discorso, ha evocato i 50 Stati fondatori che, dopo due guerre mondiali, si impegnarono a prevenire nuove catastrofi. E ha citato l’ex Segretario Generale Dag Hammarskjöld: “Le Nazioni Unite non ci hanno portati in paradiso, ma ci hanno salvati dall’inferno.”
Yang non ha evitato i riferimenti all’attualità. Di fronte all’escalation militare in Medio Oriente tra Stati Uniti, Israele e Iran, ha lanciato un appello: “I popoli della regione hanno bisogno di più pace, non più guerre. Solo il dialogo porterà una pace duratura.” Parole gravi, in un contesto in cui proprio il rispetto della Carta — quella celebrata in mostra — è messo in discussione.
A seguire, António Guterres ha riportato i presenti all’origine dell’ONU, ricordando la storia della prima urna elettorale del Consiglio di Sicurezza. All’interno, una nota nascosta da un meccanico newyorkese nel 1946: “Che Dio sia con ogni membro delle Nazioni Unite e, attraverso i vostri nobili sforzi, porti pace nel mondo.” Una testimonianza toccante di fede in un ordine mondiale cooperativo, più che in una struttura burocratica.
Guterres ha riconosciuto che “80 anni sono un battito d’occhio nella storia” e che il mondo oggi è ancora lacerato da conflitti, disuguaglianze e crisi ambientali. Ma ha difeso la funzione dell’ONU: “Un miracolo vivente che ogni giorno salva vite, sostiene la pace e promuove i diritti umani”.

Tuttavia, fuori dalla cerimonia, le contraddizioni emergono con forza. Lo stesso giorno, durante il briefing con la stampa, il portavoce di Guterres, Stéphane Dujarric, è stato incalzato da chi scrive e da un collega sudafricano sul linguaggio usato dal Segretario Generale per descrivere le violazioni della Carta. “Gli Stati Uniti hanno violato la sovranità dell’Iran, come definito nella Carta?” ha chiesto Sherwin Bryce Pease corrispondente di SABC News.
Dujarric ha risposto evasivamente: “Abbiamo visto ripetute sfide al diritto internazionale e alla Carta.” Alla richiesta di spiegazioni sul perché Guterres fu esplicito nel condannare la Russia per l’invasione dell’Ucraina, ma non usi toni simili per gli attacchi a Iran, ha risposto: “Le risposte sono nelle dichiarazioni del Segretario Generale”.
A questo punto abbiamo replicato: “Nel 2022, Guterres parlò chiaramente di violazione brutale della Carta. Oggi, invece, parla solo di preoccupazioni. La Carta è stata violata o no dagli Stati Uniti e da Israele?” Dujarric ha concluso con una formula elusiva: “Lascio a voi l’interpretazione”.
Questo scambio solleva le critiche sulla coerenza e sull’autorevolezza dell’ONU. Se la Carta deve avere valore, deve essere difesa con fermezza in ogni circostanza, non solo quando la violazione arriva da avversari politici.
La mostra, con i suoi cimeli, i pannelli storici e le parole solenni, offre un’occasione di riflessione. Ma rischia anche di diventare una vetrina commemorativa scollegata dalla realtà. Se il multilateralismo è davvero il cuore dell’ONU, come ribadito da Yang e Guterres, esso va esercitato con coraggio, anche a costo di criticare alleati potenti.
A ottant’anni dalla firma della Carta, il mondo non è perfetto, come ha ammesso Yang. Ma resta aperta la possibilità di onorare quei principi — non solo esponendoli sotto vetro, ma agendo in loro difesa. “Lo spirito di San Francisco,” ha concluso il Presidente dell’Assemblea Generale, “deve continuare a ispirarci.” E stavolta, non solo nei discorsi.