Nel pieno dell’escalation militare tra Israele e Iran, due ambasciatori si sono fronteggiati oggi – a distanza – al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Prima il rappresentante israeliano Danny Danon, poi l’ambasciatore iraniano Amir Saeid Iravani hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti. Due stakeout ravvicinati ma radicalmente diversi: mentre Danon ha risposto a tutte le domande, anche quelle più ostili, Iravani ha letto un comunicato senza accettare interazioni.
L’ambasciatore Danon ha parlato con tono deciso e documentato: “Nelle ultime 48 ore, l’Iran ha lanciato oltre 1.000 missili e droni contro le città israeliane, colpendo Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa e Bat Yam. Sabato notte sono morte dieci persone, tra cui cinque turisti ucraini. In tutto, i civili uccisi sono 23 e oltre 600 i feriti.”
Mostrando l’immagine di un edificio distrutto a Bat Yam, sobborgo di Tel Aviv, ha aggiunto: “Due delle vittime erano bambini. L’Iran punta i suoi missili contro i nostri figli. Noi invece prendiamo di mira la macchina del terrore del regime”.
A margine del suo intervento, La Voce di New York ha chiesto a Danon un commento sull’annuncio fatto poche ore prima dal presidente Donald Trump dal Canada: il presidente aveva affermato che l’Iran lo avrebbe contattato per esplorare la possibilità di negoziati e porre fine alla guerra. Cosa dovrebbe accadere perché Israele accetti di sedersi al tavolo?
La risposta dell’ambasciatore è stata secca: “C’è un detto persiano: puoi muovere le mani in un modo e i piedi in un altro. Non bastano le parole. L’Iran è maestro della menzogna diplomatica. Se vogliono veramente smantellare la macchina di morte e terrore, allora si potrà parlare. Ma se è solo per guadagnare tempo, noi non ci stiamo”.

Danon ha anche dichiarato che l’operazione “Rising Lion” ha già danneggiato in modo significativo il programma nucleare iraniano. “Non è come colpire un singolo reattore, come in Iraq negli anni ’80 o in Siria nel 2007. È un’operazione complessa che richiede tempo”.
Interrogato da giornalisti arabi sulle vittime civili in Iran, Danon ha ammesso che ci sono stati danni collaterali, ma ha insistito sul fatto che Israele cerca di “minimizzare ogni perdita di vite umane” e che “lancia avvertimenti quando possibile”. Ha ribadito che Israele distingue tra il regime e il popolo: “Noi non abbiamo nulla contro gli iraniani. Preghiamo per loro e speriamo che un giorno possano liberarsi”.
L’ambasciatore ha poi messo in guardia l’opinione pubblica internazionale: “In Iran non gridano solo ‘morte a Israele’. Gridano anche ‘morte all’America’. Hanno cercato di assassinare il nostro Primo Ministro, ma anche Trump.” Ha lasciato intendere che molti diplomatici – pur non esprimendosi pubblicamente – sarebbero “grati” a Israele per avere assunto l’onere di combattere il “regime terrorista di Teheran”.
Danon ha infine chiesto al Consiglio di Sicurezza di “trovare la spina dorsale” per imporre nuove sanzioni all’Iran: “Più si aspetta, più il disastro sarà grande”.
Ore dopo, davanti agli stessi microfoni, il rappresentante permanente dell’Iran, Amir Saeid Iravani, ha letto un lungo comunicato accusando Israele di aver compiuto “una palese aggressione contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Iran”, colpendo anche una centrale nucleare “pienamente monitorata dall’AIEA” e “mettendo a rischio milioni di vite”.
Secondo Iravani, Israele avrebbe ucciso oltre 220 civili, “molti dei quali bambini, tra cui 20 martiri in un singolo attacco a Teheran”. Ha accusato Israele di aver distrutto “ospedali, depositi di carburante, impianti idrici e la raffineria di Asaluyeh”, oltre ad aver bombardato durante una diretta la sede dell’agenzia di stampa IRNA. “È un attacco deliberato alla libertà di stampa, un crimine di guerra.”
Iravani ha insistito che l’Iran non vuole l’escalation: “Abbiamo agito secondo l’articolo 51 della Carta ONU. La nostra risposta è stata proporzionata e mirata solo a obiettivi militari ed economici. Non abbiamo colpito civili. A differenza di Israele, l’Iran rispetta il diritto internazionale”.
Secondo l’ambasciatore, l’attacco israeliano è stato reso possibile dal supporto degli Stati Uniti, che considera corresponsabili. Ha poi aggiunto che l’azione militare ha avuto come scopo quello di sabotare i negoziati nucleari, che dovevano riprendere in Oman proprio il giorno dell’attacco.
A differenza del suo omologo israeliano, Iravani non ha accettato domande. Nessuna possibilità di chiedere chiarimenti sulle cifre fornite, né sul ruolo dei proxy regionali dell’Iran come Hezbollah e gli Houthi. Nessun commento sul presunto coinvolgimento iraniano nei tentativi di colpire obiettivi americani o israeliani all’estero. L’intervento è stato un monologo d’accusa – durissimo – in cui l’ambasciatore ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di condannare Israele, fermare l’aggressione, e “difendere la Carta ONU prima che sia troppo tardi”.
La giornata ha mostrato non solo lo scontro fra due potenze regionali in guerra, ma anche due modi opposti di affrontare la diplomazia nel momento più critico. Israele, attraverso Danon, si è presentato con toni duri ma dialoganti, rispondendo anche alle domande più ostili. L’Iran ha scelto il muro, la denuncia unilaterale e l’appello alle istituzioni. E mentre il mondo cerca segnali di de-escalation, resta sospeso tra parole dure e pericoli reali.