Al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, ancora una volta, la voce della maggioranza del Consiglio di Sicurezza si è scontrata con il muro del veto. Dopo settimane di negoziati, i dieci membri eletti del Consiglio (E10) – Algeria, Danimarca, Grecia, Guyana, Panama, Pakistan, Repubblica di Corea, Sierra Leone, Somalia e Slovenia – hanno presentato una risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente nella Striscia di Gaza, insieme al rilascio degli ostaggi e alla rimozione immediata di ogni restrizione agli aiuti umanitari. Ma come ampiamente anticipato, gli Stati Uniti hanno bloccato il testo con il loro veto.
A introdurre ufficialmente la risoluzione è stato l’ambasciatore sloveno Samuel Žbogar, a nome dell’E10, durante una sessione straordinaria del Consiglio convocata per affrontare l’ennesima escalation nella crisi umanitaria a Gaza. “Questa risoluzione nasce dal nostro profondo allarme per la catastrofica situazione sul terreno”, ha dichiarato Žbogar, ricordando le decine di briefing da parte dell’ONU e di operatori umanitari che documentano il peggioramento quotidiano delle condizioni civili, con carestia imminente e accesso agli aiuti sempre più compromesso.
Il testo, definito “conciso ma incisivo”, riaffermava l’obbligo per tutte le parti di rispettare il diritto internazionale e sottolineava l’urgenza di ripristinare i servizi essenziali, facilitare la distribuzione degli aiuti in tutta Gaza e sostenere gli sforzi di mediazione portati avanti da Stati Uniti, Egitto e Qatar.
Ma nonostante l’appoggio della larga maggioranza dei membri del Consiglio, la bozza non ha superato il voto: il veto statunitense ha nuovamente impedito l’adozione di un’azione concreta.
Nel motivare il veto statunitense, l’ambasciatrice ad interim Dorothy Shea ha pronunciato un intervento durissimo contro il testo proposto dall’E10, accusandolo di essere “inaccettabile per ciò che dice, per ciò che non dice e per il modo in cui è stato avanzato”. Secondo la rappresentante USA, la bozza mancava di una condanna esplicita di Hamas e, anzi, avrebbe finito per “premiare la sua intransigenza”. Shea ha ricordato che il gruppo armato ha rifiutato negli ultimi mesi molteplici proposte di cessate il fuoco, compresa una recente, che avrebbe potuto portare alla liberazione degli ostaggi ancora detenuti.
“La guerra è iniziata con il massacro del 7 ottobre – il peggiore contro gli ebrei dalla Shoah – ed è Hamas a prolungare il conflitto, usando i civili come scudi umani”, ha dichiarato. Il testo, ha insistito, creava una “falsa equivalenza” tra Israele e Hamas e ignorava “le gravi falle nel sistema di distribuzione degli aiuti precedente”. Shea ha infine ribadito che “non può esserci futuro per Hamas a Gaza” e ha accusato il Consiglio di aver promosso un’azione “performativa” in un momento in cui la diplomazia sul campo sta cercando un accordo reale.
Eppure il testo ribadiva la richiesta di rilascio “immediato, dignitoso e incondizionato” di tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e altre fazioni, ma soprattutto esigeva un cessate il fuoco che ponesse fine alle ostilità su entrambi i fronti.
Con questo veto, è la quarta volta da ottobre 2023 che Washington blocca una risoluzione sul conflitto a Gaza. L’isolamento diplomatico degli Stati Uniti sul tema si fa sempre più evidente, mentre la pressione dell’opinione pubblica internazionale cresce. Intanto, a Gaza, la guerra continua e i palestinesi muoiono ormai più per la fame che per le bombe.
All’Uscita del Consiglio di Sicurezza, i giornalisti erano in attesa dell’ambasciatrice americana Shea ma non si è vista (uscita da una porta secondaria?). Intanto una raffica di reazioni da parte di alcuni ambasciatori si è scatenata fuori dalla sala del Consiglio, mettendo in luce la frattura profonda tra Washington e il resto del Consiglio.
L’ambasciatore russo Vasily Nebenzia ha mantenuto un tono lapidario ma tagliente. Alla domanda di un reporter cinese su quale sarà il prossimo passo, ha risposto secco: “L’Assemblea Generale”, lasciando intendere l’impotenza del Consiglio sotto il peso del veto americano. A chi gli chiedeva se il Consiglio avesse perso la sua capacità d’azione, Nebenzia ha replicato con sarcasmo: «Avevano 14 voti. Era molto unito». E ha aggiunto che ora la strada passa per azioni intraprese “a livello nazionale”, suggerendo che gli Stati devono agire dove l’ONU non può.
Più diretto ancora l’ambasciatore palestinese Riyad Mansour, che ha dichiarato: “Smettete di inviare armi a Israele. Riconoscete lo Stato di Palestina… colpite chi sta uccidendo il popolo palestinese”. Ha esortato i governi a usare i propri strumenti “nella loro capacità nazionale” per influenzare concretamente il conflitto. Ha poi confermato che la risoluzione verrà ora portata all’Assemblea Generale, dove il veto non potrà bloccarla.
Anche il rappresentante del Pakistan ha espresso frustrazione. La risoluzione, ha spiegato, è frutto di lunghe consultazioni – prima tra i membri dell’E10, poi con i P5 – ed era “il minimo indispensabile”. Eppure, 14 voti a favore della pace non sono bastati. “L’intera comunità internazionale è da un lato”, ha detto, “e solo la potenza occupante si oppone”.
Anche l’ambasciatore israeliano Danny Danon si è fermato per rispondere alle nostre domande, ribadendo con fermezza la posizione del suo governo. “Nessuna risoluzione ci fermerà dal riportare a casa gli ostaggi”, ha detto. Secondo Danon, è stata la pressione militare – non la diplomazia – a ottenere i precedenti rilasci, e Israele continuerà le operazioni finché tutti gli ostaggi non saranno liberati. Ha accolto con favore il voto del Regno Unito, lodandone la posizione secondo cui Hamas non potrà mai più governare Gaza. “Hamas non farà parte del futuro di Gaza”, ha concluso.
Uno scambio che ha reso evidente come il Consiglio resti bloccato e il conflitto ancora ben lontano dalla fine.