La fame nella Striscia di Gaza è oggi una corsa disperata contro il tempo. Ma più che verso una soluzione, la comunità internazionale sembra bloccata in una gara disordinata di distribuzione degli aiuti umanitari: da un lato il piano tradizionale guidato dalle Nazioni Unite e le sue agenzie come WFP e UNRWA; dall’altro, la nuova iniziativa sostenuta da Israele e Stati Uniti attraverso la Gaza Humanitarian Foundation (GHF). Una competizione che rischia di trasformarsi in una tragedia annunciata.
Durante il briefing di martedì al Palazzo di Vetro, il portavoce dell’ONU Stéphane Dujarric ha espresso profonda preoccupazione per le immagini “difficili da guardare” provenienti dal nuovo sito di distribuzione della GHF a Tel Sultan, dove centinaia di persone affamate hanno abbattuto le barriere per afferrare scatoloni di cibo, costringendo le guardie americane alla fuga e causando momenti di caos, panico e violenza. “Non abbiamo una conferma indipendente di ciò che è accaduto – ha detto Dujarric – ma vedere persone costrette a prendere aiuti in quel modo è straziante”.
Dujarric ha ribadito che l’ONU non è coinvolta nel piano GHF: “Abbiamo visto la proposta e non rientra nei parametri che riflettono i principi umanitari dell’ONU: indipendenza, imparzialità, neutralità. Non ci stiamo rifiutando di cooperare per principio, ma chiediamo che gli aiuti vengano distribuiti in modo sicuro e rispettando quei principi, come facciamo da Gaza al Sudan, dal Myanmar al resto del mondo”.
La realtà sul campo, però, racconta un sistema completamente bloccato. Mentre i convogli GHF operano con copertura militare israeliana, i camion dell’ONU aspettano per ore a Kerem Shalom, spesso senza poter caricare i beni pre-approvati. “Oggi abbiamo cercato di ritirare più forniture dal lato palestinese – ha spiegato Dujarric – circa 100 camion sono stati autorizzati da Israele, ma non so ancora se siano riusciti a caricare. Raggiungere quei punti di carico con i nostri mezzi e personale è un processo arduo, che richiede coordinamento con le forze israeliane e un’assicurazione di sicurezza che raramente arriva”.
Nel frattempo, il Programma Alimentare Mondiale (WFP) ha dichiarato che “gli aiuti stanno entrando troppo lentamente per rispondere ai bisogni schiaccianti”. Più di 130.000 tonnellate di cibo sono pronte, ma il personale non riesce a distribuirle in sicurezza. E mentre i pacchi della GHF vengono lanciati in zone selezionate, l’UNRWA conferma che nessun carico preparato dalla sua rete ha varcato i confini di Gaza dal 2 marzo. “Abbiamo 3.000 camion pronti in Giordania e in Egitto – ha detto Juliette Touma, portavoce UNRWA – ma i nostri magazzini sono vuoti e stiamo finendo anche farmaci essenziali come il paracetamolo”.
Over the past 20 months, the Government of Israel has continuously made unsubstantiated claims against @UNRWA and its neutrality.
These claims have put the lives of UNRWA staff at serious risk and harmed the reputation of the Agency.
Here are extracts from a letter I recently… pic.twitter.com/zUy71JTDAi
— Philippe Lazzarini (@UNLazzarini) May 27, 2025
Non si è fatta attendere la risposta di Washington: la portavoce del Dipartimento di Stato ha definito le critiche dell’ONU “il colmo dell’ipocrisia”. E da Tel Aviv il COGAT, l’organo militare che gestisce i rapporti civili nei Territori palestinesi, ha accusato l’ONU di “non svolgere il proprio ruolo”, sostenendo che “oltre 400 camion pieni di aiuti sono fermi a Kerem Shalom in attesa che l’ONU li ritiri”. Il generale Ghassan Alian ha chiesto alle Nazioni Unite di “agire come partner umanitario senza ulteriori ritardi”.
Un funzionario umanitario dell’ONU a Gaza, rimasto anonimo, ha risposto dalle colonne del Times of Israel: “È oltremodo cinico incolpare operatori che ogni giorno rischiano la vita. Israele ha bloccato gli aiuti per 80 giorni. Ora ne fa passare pochi, e solo in condizioni che mettono in pericolo la nostra sicurezza e quella dei civili. Le rotte assegnate sono spesso impraticabili, i nostri camion vengono presi d’assalto da folle affamate, le panetterie non riescono a gestire la distribuzione”.
La competizione per la gestione degli aiuti si intreccia anche con le dinamiche del conflitto. Hamas, che ha condannato la GHF, distribuisce cibo gratuitamente nella zona umanitaria di Al-Mawasi e ha minacciato chiunque accetti aiuti dal nuovo meccanismo USA-Israele. Secondo fonti americane e israeliane, l’obiettivo è chiaro: spezzare il controllo di Hamas sul cibo, e con esso il suo potere politico.
Ma le conseguenze, per ora, sono drammaticamente concrete: il caos nella distribuzione, il mancato coordinamento, la crisi di fiducia verso le agenzie umanitarie e l’aumento della sofferenza tra una popolazione che – come ha sottolineato Dujarric – “ha diritto ad assistenza in modo equo, trasparente e sicuro, non come premio per chi riesce a sfondare una barricata”.
Le Nazioni Unite chiedono ancora l’apertura di tutti i valichi, compreso Rafah, la protezione del personale umanitario e la cessazione delle accuse non provate contro l’UNRWA. Ma intanto, con la diplomazia ferma e gli ostaggi ancora prigionieri, Gaza continua a morire di fame sotto le bombe. E il principio fondamentale del diritto umanitario – quello di proteggere chi soffre – resta calpestato dalla geopolitica.