Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito giovedì per un dibattito aperto urgente sulla protezione dei civili nei conflitti armati, una sessione segnata da dati sconvolgenti, appelli pressanti e richieste di responsabilità. Dal Sudan a Gaza, dall’Ucraina al Myanmar, le prove presentate hanno mostrato un crollo globale dei sistemi creati per proteggere i civili dagli orrori della guerra.
“Stiamo assistendo allo sfaldamento della protezione dei civili”, ha avvertito Tom Fletcher, Coordinatore ONU per gli aiuti di emergenza, citando oltre 122 milioni di sfollati forzati. Intervenendo al Consiglio, Fletcher ha descritto un quadro desolante: il 2024 è stato l’anno più letale mai registrato per gli operatori umanitari, con 360 uccisi – la maggior parte personale locale a Gaza e in Sudan. Fletcher ha sottolineato l’uso degli aiuti umanitari come “merce di scambio” e ha chiesto azioni su tre fronti: far rispettare il diritto umanitario internazionale, combattere l’impunità e ridurre i danni anche laddove le soglie legali siano rispettate. “Chi morirà a causa della nostra inazione ha bisogno che agiamo”, ha dichiarato.

L’impatto di genere della guerra è stato evidenziato da Sima Bahous, Direttrice Esecutiva di UN Women. Con oltre 612 milioni di donne e ragazze che vivono in zone di conflitto, Bahous ha dichiarato: “In guerra, le donne e le ragazze non sono solo vittime collaterali – sono bersagli deliberati.” Ha descritto violenze sessuali diffuse legate al conflitto, coercizione riproduttiva e attacchi contro le donne nella vita pubblica, amplificati spesso dalle tecnologie digitali. La leader di UN women ha lanciato un messaggio chiaro al Consiglio: “Senza sicurezza, le donne non possono guidare; senza la loro leadership, la pace fallisce.” L’emancipazione femminile, ha sottolineato Bahous, deve essere considerata una strategia centrale di protezione. “Quando le donne guidano, proteggono non solo se stesse, ma intere comunità.”
Il dibattito aperto si è svolto all’inizio della Protection of Civilians Week 2025, un appuntamento annuale dedicato alla riflessione e all’azione. La sessione è stata presieduta dal Ministro degli Esteri greco Giorgos Gerapetritis – la Grecia è presidente del Consiglio di Sicurezza per il mese di maggio. In una dichiarazione congiunta a nome di 80 Paesi, letta davanti ai giornalisti, Gerapetritis ha affermato: “La protezione dei civili non è opzionale. È un obbligo legale secondo il diritto umanitario internazionale e un imperativo morale”. Ha inoltre sottolineato il nesso cruciale con la crisi climatica: “Gli impatti legati al clima aggravano il rischio di conflitto e aumentano la vulnerabilità dei civili.” Gerapetritis ha osservato che la maggior parte delle missioni di peacekeeping ONU opera in aree fortemente colpite da stress ambientali, rendendo essenziali strategie di protezione sensibili al clima.
I governi di ogni schieramento geopolitico hanno espresso preoccupazione. Gli Stati Uniti, tramite la rappresentante ad interim Dorothy Shea, hanno evidenziato l’enorme sofferenza civile in Sudan, Ucraina e Gaza. “Non esiste una soluzione militare duratura per queste crisi”, ha dichiarato, invitando tutte le parti a cessare le ostilità e permettere l’accesso umanitario.
L’ambasciatore britannico James Kariuki ha definito il rapporto ONU una “riflessione agghiacciante del nostro fallimento collettivo.” Ha insistito che il Consiglio deve usare gli strumenti a sua disposizione per far rispettare la legge e prevenire l’impunità. “È in queste lacune che sorgono i danni ai civili – ed è lì che si stabiliscono pericolosi precedenti”.
L’ambasciatore francese Jérôme Bonnafont è stato netto: “Rifiutiamo di restare indifferenti”, condannando la “quasi carestia” a Gaza e la devastazione in Sudan e Ucraina. Anche Pakistan, Somalia e Russia sono intervenuti, con l’ambasciatore somalo Abukar Dahir Osman che ha definito la protezione “un dovere legale e un imperativo morale”, mentre l’ambasciatore russo Vassily Nebenzia ha ribadito che la responsabilità primaria ricade sui governi nazionali.
Ma forse l’intervento più incisivo non è arrivato da un governo, bensì da Janti Soeripto della Ong Save the Children: “Non stiamo assistendo a un’erosione, ma a un attacco ai valori dell’umanità.”

Relief Coordinator. (UN Photo – Manuel Elias)
Il suo appello è stato riecheggiato da Mirjana Spoljaric, presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che ha avvertito: “Ignorare queste regole è una corsa verso il fondo morale – una corsa al caos e alla disperazione irreversibile.”
Mentre continuano i dibattiti e le dichiarazioni di alto livello, un messaggio resta chiaro: la protezione dei civili non è un’aspirazione – è un obbligo urgente. Con milioni di persone in crisi e l’instabilità globale in crescita, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Il Consiglio di Sicurezza ha gli strumenti, quello che manca è la volontà politica per usarli.