Nel raffinato contesto di un club privato su Park Avenue a Manhattan, il GEI (Gruppo Esponenti Italiani) ha ospitato un panel ad alto livello sul futuro delle Nazioni Unite, in occasione del 70° anniversario dell’ingresso dell’Italia nell’ONU (che cade nello stesso anno degli Ottant’anni delle Nazioni Unite). Ma quella che doveva essere una serata celebrativa si è presto trasformata in un confronto serrato tra diverse visioni diplomatiche — soprattutto sul tema più controverso di tutti: la riforma del Consiglio di Sicurezza.
A guidare e stimolare il dibattito è stato Mario Calvo-Platero, presidente del GEI e editorialista de la Repubblica, che con domande talvolta provocatorie ha dato ritmo alla discussione tra i relatori: gli ambasciatori Maurizio Massari (Italia), Parvathaneni Harish (India), Carolyn Rodrigues-Birkett (Guyana), Guy Ryder (Sottosegretario Generale ONU per le Politiche), e il giornalista Gerard Baker (columnist e già direttore del Wall Street Journal).

Con tono determinato, l’ambasciatore Harish ha chiarito che la pazienza dell’India è al limite. “Il Consiglio di Sicurezza riflette la realtà del 1945, non quella del 2025,” ha dichiarato, sottolineando che un’istituzione globale che ignora l’ascesa demografica ed economica di paesi come India, Brasile o delle principali nazioni africane perde legittimità. “Se continuiamo con riunioni infinite senza negoziati su un testo, arriverà un momento in cui non ci sarà più una strada da percorrere”.
A condividere questa urgenza c’era anche l’ambasciatrice della Guyana Carolyn Rodrigues-Birkett, oggi membro non permanente del Consiglio. “Se il Consiglio diventa irrilevante, anche chi oggi detiene il maggior potere al suo interno perderà rilevanza,” ha ammonito. Per lei, la riforma non è solo questione di giustizia storica nei confronti dell’Africa, ma di sopravvivenza dell’intera architettura multilaterale.
Rodrigues-Birkett ha anche denunciato un’anomalia procedurale significativa: “Questa è l’unica riforma all’ONU che non parte nemmeno da un testo negoziale. Abbiamo normalizzato la disfunzione”.
L’ambasciatore Massari, pur riconoscendo la necessità di un cambiamento, ha ribadito con fermezza l’opposizione italiana all’espansione dei membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza. “Un’elezione per una carica a vita è la negazione della democrazia,” ha spiegato. “Bisogna trovare un equilibrio tra rappresentatività ed efficacia”.
Secondo Massari, la vera causa della paralisi del Consiglio non è l’assenza di India o Africa tra i permanenti, ma l’abuso del potere di veto da parte dei P5. “Puoi aggiungere quanti membri vuoi, ma finché c’è il veto, continueremo ad avere stalli su Ucraina, Gaza o altri conflitti.”

(UN Photo/Evan Schneider)
Il diplomatico italiano ha poi criticato la possibilità di includere altri paesi del G7 come membri permanenti (ovviamente si riferiva alla Germania e al Giappone), affermando che ciò porterebbe a un’eccessiva rappresentanza dell’Occidente.
Dal segretariato ONU, Guy Ryder ha offerto la prospettiva istituzionale. Con la prudenza del diplomatico, ha ammesso che “le Nazioni Unite sono rimaste statiche mentre il mondo cambiava,” aggiungendo che “l’ONU indossa ancora i vestiti con cui è nata”. Ma ha messo in guardia contro richieste di “riforme totali”, preferendo un approccio graduale fondato sui valori duraturi della Carta.
In risposta alle provocazioni di Gerard Baker — che ha criticato la legittimità dell’ONU per la presenza di regimi autoritari in organi come il Consiglio per i Diritti Umani — Ryder ha replicato: “Le decisioni dell’ONU vengono prese dagli Stati membri. Il multilateralismo resta la via migliore per perseguire l’interesse nazionale nel mondo di oggi”.
Baker, con il suo tipico taglio anglo-americano, ha sollevato dubbi profondi sulla tenuta del sistema. “C’è un crescente disagio negli Stati Uniti – ancor prima dell’arrivo di Trump – e non solo per la struttura dell’ONU, ma anche per i valori che vengono predicati da regimi che non hanno titolo per farlo,” ha dichiarato. Baker ha citato fallimenti in Gaza, critiche all’OMS e la presenza di dittature in posizioni chiave dell’ONU come elementi che minano la fiducia americana — indipendentemente da chi sia alla Casa Bianca.

Il confronto tra Harish e Massari non è stato personale, ma emblematico. Da un lato, le potenze emergenti che chiedono spazio; dall’altro, chi teme che cedere terreno possa indebolire ulteriormente il sistema. “Come conciliare legittimità ed efficacia?” resta la domanda chiave.
Come ha sintetizzato l’ambasciatrice della Guyana Rodrigues-Birkett: “Ripetiamo le nostre posizioni continuamente senza mai sederci attorno a un testo. Questo non è diplomazia: è immobilismo”.
La strada verso la riforma del Consiglio di Sicurezza resta bloccata. Ma una cosa è certa: lo status quo è sempre più insostenibile e la soluzione rischia di arrivare troppo tardi.