“È stato un momento importante, anche sorprendente: per una volta, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è parlato di ostaggi e dispersi nei conflitti senza troppa politica, ma con umanità”. Così Ruby Chen ha descritto la sua recente partecipazione alla sessione speciale del Consiglio, dove ha portato la testimonianza straziante di un padre che da oltre 580 giorni vive nell’attesa di sapere cosa sia accaduto a suo figlio Itay, che aveva 19 anni e prestava servizio militare nella IDF quando è stato rapito da Hamas il fatidico 7 ottobre 2023.
In questa intervista concessa a La Voce di New York dopo il suo intervento ufficiale al Consiglio di Sicurezza, Chen racconta la sua esperienza dentro la sala più potente del Palazzo di Vetro, dove ha parlato accanto alla figlia di un uomo rapito durante la guerra di Corea: due dolori lontani nel tempo, ma simili per la crudele assenza di risposte.
Chen ha chiesto che il Segretario Generale nomini un rappresentante speciale ONU per la questione degli ostaggi e dei dispersi nei conflitti, e che la Risoluzione 2474, approvata nel 2019 e troppo spesso ignorata, venga finalmente applicata: “Chi prende un ostaggio, o trattiene un cadavere, non può continuare a farlo senza conseguenze. Questo non è solo un problema politico, è una questione umanitaria. Le famiglie hanno diritto alla verità e alla chiusura”.
Nel suo intervento, Chen ha ricordato che ci sono ancora 4 ostaggi con cittadinanza americana, inclusi suo figlio Itay, newyorkese, e altri tre con forti legami con New York. In tutto, sono 58 le persone ancora prigioniere a Gaza, tra cui molte probabilmente già decedute. “La negazione del corpo è una tortura lenta”, ha detto, chiedendo a Israele, agli Stati Uniti e all’Europa di fare di più: pressione politica, diplomatica, ma anche sanzioni economiche ai sostenitori di Hamas.
Nonostante tutto, Ruby Chen continua a credere nella pace: “Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, nessuno andrà via. Non i palestinesi, non gli israeliani. Israele e Palestina devono trovare un modo di convivere. Non possiamo continuare a comportarci come due bambini nel cortile della scuola. Serve un intervento internazionale forte, anche con una nuova conferenza di pace, tipo ‘Camp David’: penso all’Italia, alla Germania e ai membri del Consiglio di Sicurezza che devono farsi sentire”.

Nel suo discorso, Chen ha sottolineato la necessità di distinguere tra la popolazione civile palestinese e Hamas, affermando che Hamas utilizza i civili come scudi umani e nega la dignità ai morti trattenendo i corpi degli ostaggi deceduti. Ha inoltre espresso empatia per la sofferenza dei civili a Gaza, evidenziando che la tragedia umana colpisce entrambi i lati del conflitto.
Nel frattempo, la crisi umanitaria a Gaza peggiora. Il capo degli affari umanitari ONU ha accolto con favore l’apertura del valico di Kerem Shalom, ma l’assistenza rimane una goccia nel mare. Il Segretario Generale Guterres ha denunciato i continui bombardamenti israeliani e l’uccisione di centinaia di civili, tra cui donne e bambini. “Serve accesso umanitario immediato e sicuro, e la liberazione incondizionata di tutti gli ostaggi”, ha ribadito lunedì.
Ruby Chen, in mezzo a questo dolore incrociato, continua a chiedere solo una cosa: verità, dignità e giustizia. Per Itay. Per tutti.