Mentre il mondo si infiamma, giustamente, per la tragedia in corso a Gaza, c’è un’altra emergenza umanitaria che si consuma nel silenzio, lontano dai riflettori, ma con numeri e orrori che gridano vendetta: il Sudan.
Nel luglio 2024, per la prima volta dal 2017, è stata ufficialmente dichiarata la carestia nel campo profughi di Zamzam, in Darfur. Da allora, altre cinque aree del Sudan sono cadute nella fame estrema, e ben diciassette sono a rischio imminente. Secondo le Nazioni Unite, oltre 13 milioni di sudanesi sono stati costretti a fuggire dalle proprie case a causa del conflitto tra le due fazioni militari, mentre più di 30 milioni necessitano oggi di assistenza umanitaria urgente.
È uno dei più gravi disastri alimentari della storia moderna. Ma se ne parla? Dove sono le marce, le risoluzioni parlamentari, gli appelli virali per i bambini sudanesi? Sembra che la loro sofferenza sia meno “politicamente utile”.
Come ha dichiarato António Guterres, Segretario Generale dell’ONU, commentando il rapporto Global Report on Food Crises 2025, “questa è più di una crisi sistemica: è un fallimento dell’umanità”.

Secondo il rapporto, nel 2024 oltre 295 milioni di persone in 53 paesi hanno vissuto in condizioni di insicurezza alimentare acuta. La cifra, in crescita da sei anni consecutivi, rappresenta il 22,6% della popolazione analizzata. Di questi, milioni si trovano in stati di fame catastrofica, una cifra che è raddoppiata in appena un anno.
Guterres ha parlato di una “cicatrice dell’umanità”: un marchio indelebile che segna intere regioni devastate da guerre, collassi economici, crisi climatiche. La fame oggi non è più un incidente, ma il frutto avvelenato di scelte politiche sbagliate, di complicità e di indifferenza globale.
The Global Report on Food Crises reveals a staggering reality: 295 million people in 53 countries/territories faced high levels of acute food insecurity in 2024.
At @FAO we know that #AgricultureCan be the solution, but we need the right support.#FightFoodCrises #GRFC2025
— Food and Agriculture Organization (@FAO) May 16, 2025
La guerra in Sudan, come quelle in Congo, Sud Sudan, Haiti, Myanmar e Palestina, è stata tra i principali motori della fame. Ma se per Gaza – giustamente – la mobilitazione internazionale è costante, per il Sudan assistiamo a un abbandono criminale. Le immagini di bambini sudanesi che muoiono lentamente di fame nei campi profughi non arrivano nelle nostre bacheche social, non scuotono le coscienze occidentali.
E non è solo questione di attenzione: è una questione di scelte. La Direttrice del World Food Programme, Cindy McCain, ha lanciato un allarme disperato: “Non so se riusciremo a tenere ancora in volo i nostri aerei”. I tagli al finanziamento umanitario nel 2025 hanno raggiunto il 45%, compromettendo ogni aspetto dell’assistenza, dalla distribuzione del cibo al trasporto nei villaggi isolati.
Questa crisi è anche il riflesso di un sistema profondamente ingiusto: mentre si spendono miliardi in armi, l’agricoltura sostenibile – che secondo la FAO è quattro volte più efficace dell’assistenza alimentare diretta – riceve appena il 3% dei fondi umanitari.
La fame nel 2025 non è inevitabile. È il prodotto di un mondo che ha perso la bussola morale. “Non possiamo rispondere a stomaci vuoti con mani vuote e spalle voltate”, ha detto Guterres. Eppure è esattamente ciò che stiamo facendo.
Indignarsi per Gaza non deve significare ignorare il Sudan. La dignità umana non si misura in chilometri o in visibilità mediatica. I bambini che muoiono oggi a Zamzam valgono quanto quelli di Rafah. Restare in silenzio è complicità.