In un ospedale sovraffollato del sud dell’Afghanistan, dove tre o quattro pazienti condividono lo stesso letto, il massimo responsabile umanitario delle Nazioni Unite ha pronunciato parole pesanti: “Tagliare i fondi a chi ha più bisogno non è qualcosa di cui vantarsi… l’effetto dei tagli agli aiuti è che milioni moriranno.”
Il grido di allarme arriva da Tom Fletcher, Coordinatore umanitario d’emergenza dell’ONU, in visita al Mirwais Regional Hospital a Kandahar, simbolo del collasso in corso. Già 400 centri sanitari primari sono stati costretti a chiudere nel Paese per mancanza di fondi. Una tragedia annunciata.
“È nei corridoi di questi ospedali che si compiono le decisioni più disumane,” ha detto Fletcher. “Medici costretti a scegliere chi salvare e chi no. Non per mancanza di competenze, ma per mancanza di fondi”.
Le immagini che accompagnano le sue parole sono agghiaccianti: bambini malnutriti, donne sofferenti, personale sanitario esausto. In mezzo a tutto questo, le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite – WFP, OMS, UNICEF, UNHCR, OCHA, UNAIDS – si trovano a dover tagliare drasticamente programmi salvavita. La crisi non è solo afghana: è globale. Ma è qui, in uno dei Paesi più fragili del mondo, che il disastro si manifesta con tutta la sua brutalità.
Harrowing visit to Kandahar’s main hospital.
Cutting funding for those in greatest need is not something to boast about. For millions, it is a death sentence. pic.twitter.com/4AteDIJdhK
— Tom Fletcher (@UNReliefChief) April 30, 2025
Fletcher ha sottolineato anche l’impatto devastante sui lavoratori sanitari donne, molte delle quali hanno subito tagli salariali fino a due terzi. Un paradosso crudele in un Paese dove le donne già affrontano restrizioni sistemiche imposte dai talebani, e dove il loro ruolo nel sistema sanitario è cruciale, specialmente per l’accesso delle pazienti ai servizi.
Durante la sua missione, Fletcher ha incontrato anche il governatore provinciale de facto, Mullah Shirin Akhund, chiedendo un’azione concreta per rispondere a una crisi che riguarda quasi metà della popolazione afghana: 22,9 milioni di persone oggi sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari.
Ma la catastrofe non si ferma al collasso interno. In aprile, oltre 250.000 afghani sono stati rimpatriati dai Paesi vicini, tra cui 96.000 deportati con la forza. L’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha espresso particolare preoccupazione per la sorte di donne e ragazze costrette a rientrare in un Paese dove l’oppressione è quotidiana.
“La verità è che lo sviluppo non è possibile senza l’istruzione delle ragazze e la piena partecipazione delle donne all’economia,” ha detto Fletcher. Ma con le scuole chiuse, i centri sanitari in rovina, e un’economia allo stremo, ogni giorno che passa è una sentenza di morte per migliaia di civili.
“Il mondo deve decidere se voltarsi dall’altra parte o affrontare questa emergenza per quello che è: una catastrofe umanitaria annunciata, alimentata dall’indifferenza,” ha concluso Fletcher.