Al Palazzo di Vetro, il Consiglio di Sicurezza si è riunito oggi in una sessione carica di tensione e drammaticità. Gaza, ormai al collasso umanitario, è stata il centro di un dibattito acceso che ha visto protagonisti il Segretario Generale António Guterres con il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot – la Francia è presidente di turno – e una lunga serie di ambasciatori, da Russia a Stati Uniti, da Regno Unito a Cina, Algeria, Pakistan, Grecia e molti altri anche che in questo momento non detengono il seggio al Consiglio ma hanno chiesto la parola.
Con parole durissime, Guterres ha messo in guardia: “La soluzione dei due Stati è vicina a un punto di non ritorno”. Il Segretario Generale ha chiesto agli Stati membri di agire senza più tentennamenti, “prendendo misure irreversibili” verso una pace che garantisca l’esistenza di Israele e Palestina fianco a fianco, con Gerusalemme come capitale condivisa. Ha definito la situazione umanitaria a Gaza “oltre l’immaginabile”, denunciando il blocco quasi totale di cibo, carburante e medicinali da parte israeliana da quasi due mesi.
Guterres ha anche condannato gli attacchi contro il personale ONU, chiedendo “accountability piena” e sottolineando che “l’assistenza umanitaria è non negoziabile” e che Israele “deve proteggere i civili e consentire l’accesso umanitario senza eccezioni, inclusa l’attività vitale dell’UNRWA”.

Ad aprire la riunione, il ministro francese degli Esteri Jean-Noël Barrot, ha ribadito la priorità di Parigi: “Mettere fine alle ostilità per alleviare le sofferenze dei civili”. Barrot ha chiesto un cessate il fuoco immediato a Gaza, il mantenimento della tregua in Libano e ha annunciato che, insieme all’Arabia Saudita, la Francia organizzerà una conferenza internazionale a giugno per rilanciare la soluzione a due Stati. “La situazione è catastrofica – ha dichiarato – e Israele deve revocare tutte le restrizioni all’ingresso degli aiuti”.
Tra gli interventi più accesi quello dell’ambasciatore russo Vassily Nebenzia, che ha denunciato l’uso dell’assistenza umanitaria “come moneta di scambi” nei negoziati, accusando Israele di aggravare artificialmente la crisi con il blocco a UNRWA e la paralisi dell’ingresso di 3.000 camion carichi di aiuti.
Non meno duro l’ambasciatore algerino Amar Bendjama, che ha parlato di “uno dei più gravi fallimenti umanitari della nostra generazione”. Ha accusato il Consiglio di Sicurezza di non essere riuscito a fermare l’impunità israeliana e ha chiesto “un cessate il fuoco immediato prima che sia troppo tardi”.
Il Pakistan, con l’ambasciatore Asim Iftikhar Ahmad ha denunciato “la distruzione sistematica di un popolo e l’annientamento del diritto all’esistenza di una nazione”, definendo «orrenda» la distruzione dell’ospedale al-Ahli. Ha chiesto il ritorno al cessate il fuoco, l’accesso umanitario completo e il riconoscimento politico dello Stato palestinese.
Sul fronte occidentale, l’ambasciatrice americana Dorothy Shea ha ribadito il sostegno di Washington al flusso di aiuti umanitari, ma ha puntato il dito contro Hamas per aver bloccato le trattative per una tregua: “Due settimane fa Hamas ha rifiutato una proposta che avrebbe portato al rilascio degli ostaggi”.
Anche Lord Ray Collins, rappresentante del Regno Unito, ha chiesto il ripristino del cessate il fuoco e un accesso pieno e sicuro per gli operatori umanitari. “È inaccettabile che Israele abbia bloccato gli aiuti per quasi due mesi”, ha detto, sottolineando il dramma della fame a Gaza.
Il rappresentante cinese Zhang Jun ha chiesto “un’immediata cessazione delle ostilità” e il rispetto delle risoluzioni ONU. Ha ricordato che “la forza non potrà mai garantire la pace” e ha sollecitato un ritorno al negoziato multilaterale.
Tra gli interventi rilevanti anche quello dell’ambasciatore greco Evangelos Sekeris, che ha sottolineato come “la crisi umanitaria a Gaza minacci la stabilità di tutta la regione” e ha sostenuto la necessità di un accesso umanitario senza restrizioni.
Non sono mancati i riferimenti alle tensioni regionali: Israele, con il vice rappresentante permanente Brett Jonathan Miller, ha accusato l’Iran di essere “il regista dell’instabilità in Medio Oriente” tramite Hezbollah, Hamas, e i ribelli Houthi.

Infine, Riyad Mansour, rappresentante della Palestina, ha accusato Israele di imporre “un assedio punitivo” su Gaza, condannando la carenza deliberata di cibo, acqua, medicine e beni essenziali.
La riunione del Consiglio di Sicurezza ha mostrato ancora una volta una comunità internazionale divisa sulle responsabilità, ma concorde nel riconoscere che il Medio Oriente è a un bivio drammatico. Come ha ammonito Guterres, “i leader devono mostrare coraggio politico. Il futuro di Israele, della Palestina, e di tutta la regione è appeso a un filo”.
Il tempo per salvare la soluzione dei due Stati, e forse la stessa possibilità di una pace duratura, sembra davvero agli sgoccioli.