Israele sul banco degli imputati. L’Onu e la Corte Internazionale di Giustizia al centro del mirino di Gerusalemme. A L’Aja è iniziato un delicato braccio di ferro giudiziario: i giudici della Corte sono chiamati a esprimere un parere consultivo sulla gestione della crisi umanitaria a Gaza da parte di Israele, dopo che, il 2 marzo, il governo di Netanyahu ha chiuso i valichi con la Striscia, lasciando 2,4 milioni di palestinesi con scorte di cibo ormai al lumicino.
“La fame è qui”, ha denunciato Ammar Hijazi, capo della rappresentanza palestinese nei Paesi Bassi, accusando Israele di usare gli aiuti umanitari “come arma di guerra”. Dall’altra parte, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sàar ha respinto ogni accusa, liquidando il procedimento dell’Aja come “un circo” e attaccando l’Onu e l’Unrwa per aver “strumentalizzato il diritto internazionale” allo scopo, secondo lui, di “privare Israele del diritto fondamentale di difendersi”.
Le udienze, che dureranno tutta la settimana, vedranno la partecipazione di oltre 40 Stati e quattro organizzazioni internazionali. La consulente legale dell’Onu, Elinor Hammarskjöld, rappresentando il Segretario Generale António Guterres, ha ribadito l’obbligo di Israele, come potenza occupante, di “amministrare il territorio per il beneficio della popolazione locale” e “facilitare la consegna degli aiuti”.
Ma Israele ha risposto rilanciando le accuse contro i vertici del’ONU: secondo Sàar, l’Unrwa diretta da Philippe Lazzarini resta “infestata da terroristi”, con 1.400 impiegati legati ad Hamas, alcuni dei quali avrebbero partecipato direttamente alle atrocità del 7 ottobre. Israele sostiene che non si può obbligarla a collaborare con chi, a suo avviso, rappresenta una minaccia esistenziale.
I welcome the ICJ hearing on the presence and activities of the United Nations and other organisations in the occupied Palestinian territory.
UNRWA and other agencies are present in the occupied Palestinian territory to address overwhelming needs.
The Agency’s services must…— Philippe Lazzarini (@UNLazzarini) April 28, 2025
Nel frattempo, sul terreno, la situazione umanitaria resta catastrofica. Secondo Jonathan Whittall dell’OCHA, “chi non viene ucciso da bombe e proiettili a Gaza, muore lentamente di fame”. L’Unrwa, la principale agenzia di soccorso nella Striscia, denuncia che da gennaio il governo israeliano ha bloccato i visti ai suoi funzionari e che il divieto di contatto imposto dal parlamento israeliano ha ostacolato gravemente la distribuzione degli aiuti.
A New York, durante il briefing quotidiano al Palazzo di Vetro (nel video dal minuto 27:42), abbiamo chiesto al portavoce di Guterres, Stéphane Dujarric, se il Segretario Generale avesse una risposta per il ministro degli Esteri israeliano [Gideon] Sàar quando oggi lo ha attaccato pubblicamente insieme alla leadership dell’UNRWA, esibendo a Gerusalemme uno striscione con la scritta “J’accuse” e criticando il procedimento della Corte Internazionale di Giustizia all’Aja, definendolo un circo.
La risposta del portavoce: “Non credo che il Segretario Generale sia un grande fan dei circhi. Noi prendiamo queste cose molto seriamente. La presentazione della nostra Consulente Legale alla Corte è estremamente dettagliata, chiara e giuridica. Abbiamo visto i commenti del ministero degli Esteri israeliano, ma vi ricordo che fu proprio l’Onu a rivelare per prima le accuse israeliane contro l’Unrwa. Il Segretario Generale è stato molto chiaro, molto diretto. Nel gennaio 2024, il Commissario Generale Lazzarini ha agito con estrema rapidità. Abbiamo sempre agito ogni volta che le informazioni ci sono state condivise, anche se, purtroppo, troppo spesso ci arrivano attraverso i media anziché direttamente”.
A questo punto abbiamo chiesto a Dujarric se questi rapporti tesi con Israele possano essere la vera causa del fatto che, a 100 giorni dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, Guterres non abbia ancora incontrato il Presidente degli Stati Uniti. La risposta del portavoce è stata: “Su questo vi lascio speculare”.
Sul piano diplomatico, dunque, il confronto appare sempre più teso. Israele, che si sente sotto accusa da un sistema multilaterale che percepisce come ostile, reagisce colpo su colpo. L’Onu, dal canto suo, rivendica la sua neutralità e il dovere di garantire l’accesso umanitario a Gaza.
E mentre la Corte dell’Aja ascolta le testimonianze – comprese quelle strazianti di donne e bambini che sopravvivono con farina ammuffita e una sola razione al giorno – il rischio è che nessuno voglia davvero ascoltare fino in fondo anche l’altra parte. Israele sostiene di temere per la sua sicurezza; i palestinesi intanto sopravvivono a stento. Entrambe le verità convivono tragicamente annullandosi a vicenda. Una risposta finale dal tribunale arriverà ( tra quanti mesi?) sotto forma di un parere consultivo non vincolante. Ma la vera domanda resterà sospesa: in questo conflitto di accuse, chi davvero ha ragione? O forse, sarebbe meglio dire: chi ha più torto?