Una fragile speranza sta emergendo in Siria dopo la caduta del regime di Assad, ma l’allarme lanciato venerdì all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato impossibile da ignorare: senza un’azione internazionale urgente, la transizione rischia di precipitare nel caos, nella sofferenza di massa e in una nuova spirale di violenze.
A quasi cinque mesi dalla fine del regime, le autorità ad interim siriane hanno compiuto i primi passi verso una riforma politica — tra cui la formazione di un governo più inclusivo e i piani iniziali per l’istituzione di un’Assemblea del Popolo provvisoria. Ma come ha avvertito senza mezzi termini l’Inviato Speciale ONU Geir Pedersen, la transizione resta “estremamente fragile”.
“Le sfide sono enormi”, ha dichiarato Pedersen. “Serve molta più inclusione politica — e molte più azioni economiche. Con un cambiamento radicale su entrambi i fronti, la transizione politica in Siria può riuscire. Senza di essi, difficilmente potrà farlo — e le conseguenze saranno gravissime.”
E in realtà, sul terreno, le conseguenze si stanno già manifestando. Oltre il 70% della popolazione siriana necessita di aiuti umanitari. Più della metà soffre di insicurezza alimentare. E mentre alcune città, come Aleppo e il nord-est, mostrano timidi segnali di ripresa, la stragrande maggioranza dei siriani vive ancora sull’orlo della sopravvivenza.
Joyce Msuya, alta funzionaria umanitaria delle Nazioni Unite, ha lanciato un appello disperato: “Abbiamo bisogno di più fondi per sostenere il nostro lavoro, per non parlare di ampliarlo”. Finora, meno del 10% dei fondi richiesti per le operazioni di soccorso del 2025 è stato raccolto. Senza un’immediata iniezione di risorse, ospedali, reti di distribuzione alimentare e servizi essenziali rischiano di crollare entro pochi mesi.

Un momento di speranza simbolica si è avuto con l’alzabandiera della nuova Siria all’ONU — tre stelle al posto delle due del vecchio regime — un gesto celebrato dai sostenitori come segno di rinascita. Ma gli stendardi non riempiono gli stomaci vuoti, né le cerimonie possono sostituire riforme concrete.
Gli Stati Uniti hanno accolto con favore i primi passi della Siria, ma hanno avvertito che il mondo osserverà da vicino. La rappresentante americana ad interim, Dorothy Shea, ha chiarito che la leadership siriana dovrà garantire un’inclusione politica piena, rinunciare al terrorismo e allontanare l’influenza iraniana dal territorio. “Chiederemo conto alle autorità ad interim dei prossimi passi”, ha detto Shea, elencando tra le priorità l’espulsione dei terroristi stranieri e la distruzione delle armi di distruzione di massa.
La Russia, pur appoggiando la coesione nazionale, ha espresso profonda preoccupazione per l’ondata di violenze nella regione costiera di Latakia, chiedendo un’indagine imparziale sui massacri di marzo, mentre ha annunciato un contributo umanitario di 5 milioni di dollari al Programma Alimentare Mondiale (WFP).
Il Regno Unito ha rimosso sanzioni chiave nei settori energetico e finanziario per sostenere la ricostruzione siriana. Il vice rappresentante permanente James Kariuki ha sottolineato la necessità urgente di investimenti, soprattutto per la ripresa del sistema elettrico devastato.
La Francia, che detiene la presidenza di turno del Consiglio, ha ribadito che la giustizia di transizione deve essere al centro della rinascita siriana. L’ambasciatore Jérôme Bonnafont ha invitato le autorità ad interim a collaborare pienamente con gli organismi internazionali sui crimini del passato.
Nel frattempo, la Cina ha sollecitato un’azione determinata contro il terrorismo e un dialogo nazionale inclusivo, ricordando che i foreign fighters rappresentano ancora una minaccia grave.

Il ministro degli Esteri ad interim siriano, Asaad Hasan Al-Shaibani, ha parlato di resilienza e speranza, celebrando i progressi ottenuti: la preservazione delle istituzioni statali, la dissoluzione delle fazioni armate e l’avvio di un dialogo nazionale inclusivo. Ma ha anche denunciato con forza il peso delle sanzioni internazionali: “Queste misure restrittive impediscono l’afflusso di capitali e competenze, favorendo le reti illecite e rafforzando la narrativa estremista,” ha dichiarato. “Chi ci chiede di fare di più è lo stesso che mantiene le sanzioni che ci bloccano”.In un appello finale ha detto:
“Cogliamo questo momento storico. I siriani sono pronti a ridisegnare il futuro del loro Paese e a offrire al mondo un nuovo paradigma di transizione post-conflitto”.
Ma dentro il Consiglio, il sentimento prevalente è un altro: il tempo sta rapidamente scadendo. Con le operazioni umanitarie a rischio, le divisioni politiche che si aggravano e le forze estremiste in agguato, la fragile transizione siriana rischia di crollare prima ancora di consolidarsi. Il mondo non può permettersi di voltarsi dall’altra parte. Il tempo stringe.