È stato un fine settimana di sangue in Sudan. A due anni esatti dall’inizio della guerra civile, i campi profughi di Zamzam e Abu Shouk nel Darfur sono diventati scenari di massacri brutali. Più di 100 persone sono state uccise, tra cui 23 bambini e nove operatori umanitari, colpiti mentre prestavano soccorso in uno degli ultimi avamposti sanitari ancora operativi.
Il mondo osserva in silenzio l’agonia di un Paese dove la catastrofe umanitaria ha ormai superato ogni limite. E secondo gli investigatori ONU, “i capitoli più oscuri devono ancora arrivare”.
Gli attacchi, iniziati l’11 aprile, sono stati condotti da forze affiliate alle Rapid Support Forces (RSF), con operazioni coordinate contro i campi per sfollati interni e contro la città di El Fasher, capitale regionale del Darfur.
La missione indipendente di indagine delle Nazioni Unite (Fact-Finding Mission, FFM) ha lanciato un allarme durissimo: “Due anni di conflitto hanno intrappolato milioni di civili in situazioni disumane, con violazioni sistematiche e sofferenze indicibili,” ha dichiarato Mohamed Chande Othman, presidente della FFM. “Con l’aumento dei discorsi d’odio e della violenza etnica, temiamo che il peggio debba ancora arrivare”.

Il campo di Zamzam, che un tempo ospitava oltre 750.000 persone – metà delle quali bambini – è ora ridotto a un campo d’assedio. Le poche strutture sanitarie rimaste sono state distrutte, e i sopravvissuti riferiscono di bambini che muoiono di fame senza possibilità di evacuazione né accesso agli aiuti umanitari.
La direttrice esecutiva dell’UNICEF, Catherine Russell, ha lanciato un grido d’allarme: “Fermate questi atti di violenza insensati contro i bambini e chi li assiste. La carestia sta già cacciando i bambini”. Secondo l’agenzia, oltre un milione di persone sono ad altissimo rischio nelle aree di El Fasher e Zamzam.
Il conflitto in Sudan è esploso il 15 aprile 2023, quando le tensioni tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le RSF si sono trasformate in guerra aperta nella capitale Khartoum. Da allora, la lotta per il potere ha devastato il Paese, provocando oltre 12,4 milioni di sfollati, tra cui 3,3 milioni di rifugiati nei Paesi vicini.
Entrambe le fazioni sono accusate dalla FFM di gravi violazioni del diritto internazionale: attacchi deliberati contro civili, violenze sessuali, affamare intere popolazioni come tattica di guerra, saccheggi e distruzione di infrastrutture civili.
Il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha condannato con fermezza gli attacchi, ricordando che “aggressioni contro civili, personale sanitario e umanitario costituiscono crimini di guerra”. Ha invocato accesso sicuro e immediato alle zone assediate e la giustizia per i responsabili.

Ma le violazioni non si limitano al Darfur. In Sennar, Al-Dinder e Wad Madani, le forze SAF e alleati hanno compiuto esecuzioni pubbliche, arresti di massa e sparizioni forzate dopo aver riconquistato aree precedentemente controllate dalle RSF. Una strategia di terrore che colpisce indiscriminatamente. “La priorità ora è proteggere i civili e le strutture da cui dipende la loro sopravvivenza,” ha detto Mona Rishmawi, membro della FFM.
Alla vigilia di un incontro internazionale a Londra per discutere di fondi e protezione dei civili in Sudan, la FFM ha ricordato agli Stati membri l’obbligo di rispettare le Convenzioni di Ginevra: “Fornire armi o finanziamenti significa diventare complici di queste atrocità,” ha affermato ancora Rishmawi.
La FFM, istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU nell’ottobre 2023 e prorogata fino a ottobre 2025, continua a documentare sistematicamente ogni crimine commesso da aprile 2023. Ma senza un’azione concreta e urgente da parte della comunità internazionale, le parole restano impotenti.
Il Sudan sta lentamente scomparendo, inghiottito da una guerra che sembra non avere fine e che si alimenta nel vuoto politico e morale lasciato dal mondo. Mentre i bambini muoiono di fame, i civili vengono sterminati nei campi, e gli operatori umanitari vengono assassinati, la comunità internazionale deve scegliere: restare spettatrice o fermare l’emorragia prima che l’intero Paese si dissolva.

Commento dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Volker Türk, dopo le centinaia di vittime negli attacchi delle RSF nel Darfur Settentrionale, Sudan
Gli attacchi su larga scala da parte delle Rapid Support Forces (RSF) contro i campi per sfollati interni di Zamzam e Abu Shouk, contro la città di El Fasher e la località di Um Kadada mostrano in modo drammatico il costo dell’inazione della comunità internazionale, nonostante i miei ripetuti allarmi sul crescente rischio per i civili nella zona – incluso l’avvertimento dello scorso venerdì.
Centinaia di civili, tra cui almeno nove operatori umanitari, sarebbero stati uccisi. Gli attacchi hanno aggravato una crisi umanitaria e di protezione già disperata in una città assediata brutalmente dalle RSF sin dal maggio scorso. Aumenta anche il rischio di attacchi a sfondo etnico contro civili percepiti come sostenitori delle Forze Armate Sudanesi.
Le RSF hanno l’obbligo, in base al diritto internazionale umanitario, di garantire la protezione dei civili, anche da attacchi motivati da ragioni etniche, e di assicurare un passaggio sicuro per i civili in fuga dalla città.
Le vittime hanno diritto alla verità, alla giustizia e a riparazioni.
Domani la guerra entra nel suo terzo anno. Tutte le parti in conflitto – e tutti coloro che esercitano influenza – devono rinnovare con urgenza il loro impegno a intraprendere azioni concrete per porre fine al conflitto.