Mai come oggi, gli operatori umanitari sono stati così esposti a violenze, abusi e indifferenza globale. Lo ha denunciato con forza l’ONU durante una drammatica sessione del Consiglio di Sicurezza, dove due alti funzionari delle Nazioni Unite hanno chiesto misure concrete per fermare quella che è ormai una vera e propria strage silenziosa.
“Gli attacchi contro gli operatori umanitari devono finire. I responsabili devono essere perseguiti,” ha dichiarato Joyce Msuya, Vice Segretaria Generale per gli Affari Umanitari, intervenendo direttamente agli ambasciatori presenti.
Insieme a lei, è intervenuto Gilles Michaud, capo del Dipartimento ONU per la Sicurezza e la Protezione del Personale, che ha illustrato il quadro di un sistema internazionale incapace, al momento, di proteggere chi lavora in prima linea per salvare vite.

I dati forniti da Msuya sono scioccanti: 377 operatori umanitari uccisi in 20 Paesi solo nel 2024, il numero più alto mai registrato. Quasi 100 in più rispetto al 2023, che già aveva segnato un aumento del 137% rispetto al 2022. A essere colpiti sono soprattutto gli operatori locali, che rappresentano circa il 95% delle vittime. Sono loro, ha ricordato Msuya, “la spina dorsale” degli interventi umanitari, ma spesso sono invisibili agli occhi dei media e delle istituzioni.
Nel Sudan, almeno 85 operatori sudanesi sono stati uccisi dall’inizio del conflitto nell’aprile 2023. Nella Striscia di Gaza, dal 7 ottobre scorso, sono più di 408 gli operatori umanitari uccisi — numeri che fanno di Gaza il luogo più pericoloso al mondo per chi porta aiuto.
Appena tre giorni fa, squadre dell’ONU e della Mezzaluna Rossa Palestinese hanno ritrovato i corpi di 15 operatori in una fossa comune.
La riunione del Consiglio si è svolta nell’ambito della Risoluzione 2730 (2024), la prima adottata dall’ONU interamente dedicata alla protezione del personale umanitario e delle Nazioni Unite nei conflitti armati. Ma come ha chiarito Msuya, le leggi esistono già: ciò che manca è la volontà politica di farle rispettare. “Cosa intendete fare, concretamente, per aiutarci a ottenere giustizia e fermare queste uccisioni?” ha chiesto rivolgendosi direttamente ai membri del Consiglio.
Dal canto suo, Michaud ha parlato di impunità sistemica, sostenuta non solo da gruppi armati, ma anche da Stati e attori governativi. “L’impunità per gli attacchi contro il personale umanitario è ormai una normalità. Una normalità pervasiva. Una normalità accettata,” ha detto, per poi lanciare un avvertimento: con il taglio dei fondi da parte di diversi Stati membri, le agenzie umanitarie saranno costrette a ridurre la loro presenza, lasciando intere aree senza assistenza né protezione.
La Francia, che detiene la presidenza del Consiglio per il mese di aprile, ha inserito il tema tra le priorità dell’agenda. L’ambasciatore Jérôme Bonnafont ha presieduto il dibattito, ribadendo l’impegno francese per la protezione dei civili e degli operatori, anche se senza annunciare nuove iniziative specifiche.
Gli Stati Uniti hanno condannato gli attacchi e richiamato l’importanza del diritto internazionale, pur evitando di invocare la Corte Penale Internazionale.
Il Regno Unito ha proposto di rafforzare i meccanismi di monitoraggio e valutato l’ipotesi di un nuovo relatore speciale ONU per la sicurezza umanitaria.
La Cina ha sottolineato la necessità di rispettare la sovranità degli Stati, pur riconoscendo l’importanza del diritto umanitario. La Russia ha messo in dubbio l’imparzialità di alcuni report dell’ONU, soprattutto in riferimento a Gaza e all’Ucraina.
🔴 Attacks on aid workers must end.
🔴 Perpetrators must be held accountable.
🔴 We cannot become numb to this violence.Member States gathering today at the UN #SecurityCouncil must demand accountability, prevent more killing and act on resolution 2730.#NotATarget pic.twitter.com/lmyaHmdbcX
— UN Humanitarian (@UNOCHA) April 2, 2025
Oltre agli attacchi fisici, Msuya e Michaud hanno denunciato la crescente criminalizzazione del lavoro umanitario: sempre più spesso, operatori locali vengono arrestati, interrogati e accusati di collaborare con gruppi terroristici semplicemente per aver distribuito cibo o medicine. In parallelo, campagne di disinformazione hanno minato la fiducia verso le organizzazioni umanitarie in contesti come Haiti, Yemen e Territori palestinesi occupati. E mentre tutto questo accade, i fondi scarseggiano. Il rischio è che le ONG e le agenzie dell’ONU siano costrette a ridurre ulteriormente le operazioni — con conseguenze dirette sulla sicurezza del personale.
Msuya ha concluso il suo intervento con tre richieste chiare ai governi presenti: Far rispettare il diritto internazionale, anche attraverso missioni di inchiesta e sospensione della vendita di armi ai responsabili di attacchi. Prendere posizione pubblicamente contro ogni aggressione al personale umanitario, compreso quello locale. Assicurare la giustizia, sia nei tribunali nazionali sia — dove questi falliscono — attraverso meccanismi internazionali come la Corte Penale Internazionale.

Msuya ha poi rilanciato l’appello del Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres ad adottare un approccio centrato sui sopravvissuti, affinché anche la voce di chi è stato colpito trovi spazio nei processi decisionali.
La sessione si è chiusa senza una nuova risoluzione, ma con la promessa di ulteriori consultazioni. Resta da vedere se il Consiglio sarà capace di passare dalle parole ai fatti. Ma il messaggio lanciato dai vertici delle Nazioni Unite è stato inequivocabile: “Sappiamo cosa sta succedendo. La domanda è: vogliamo davvero fermarlo?”