In una sessione cruciale del 25 marzo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per affrontare la persistente crisi in Siria. A quattordici anni dall’inizio di una devastante guerra civile e a quattro mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, il Paese si trova a un bivio: sprofondare di nuovo nella violenza o costruire finalmente una pace duratura.
Geir O. Pedersen, Inviato Speciale dell’ONU per la Siria, ha tracciato un quadro drammatico della situazione. Ha denunciato le violenze settarie e di rappresaglia avvenute il 6 marzo nella costa occidentale, in particolare nelle province di Latakia e Tartus, dove gruppi armati legati al deposto regime hanno attaccato forze della nuova amministrazione guidata da Ahmed al-Sharaa, colpendo anche ospedali.
“L’attacco coordinato contro l’autorità ad interim, le pesanti controffensive e i massacri di civili si sono verificati in un contesto già segnato da profonda insicurezza,” ha detto Pedersen. “L’era dell’impunità in Siria deve finire.”
Tom Fletcher, Sottosegretario Generale per gli Affari Umanitari (OCHA), ha evidenziato gli sforzi umanitari e le loro limitazioni. Nonostante alcuni successi – come la riattivazione della stazione idrica di Atareb ad Aleppo che ora fornisce acqua a 40.000 persone – Fletcher ha lanciato l’allarme: “Lo scorso anno abbiamo ricevuto solo il 35% dei fondi richiesti. Siamo stati costretti a dimezzare gli interventi.” “Il costo dell’esitazione è più alto del rischio di agire con decisione,” ha avvertito Fletcher.
Gli Stati Uniti, rappresentati dall’Ambasciatrice ad interim Dorothy Shea, hanno espresso profonda preoccupazione per la presenza di combattenti stranieri tra le forze armate siriane. “Le unità militari siriane che includono combattenti stranieri devono essere smantellate,” ha dichiarato. Shea ha sottolineato l’urgenza di un processo politico inclusivo che rappresenti tutte le componenti della società siriana.
Il rappresentante russo Vassily Nebenzia ha paragonato le violenze settarie in Siria al genocidio del Rwanda del 1994. Ha criticato duramente la dissoluzione dell’esercito siriano da parte delle nuove autorità e l’epurazione della pubblica amministrazione, avvertendo che il Paese rischia di seguire il tragico “scenario iracheno”.
Il Regno Unito ha sottolineato l’importanza storica di questo momento: “Questo mese ricorrono 14 anni da quando i siriani chiesero libertà dal regime di Assad. Oggi hanno finalmente una vera possibilità per un futuro di speranza,” ha affermato il delegato britannico.

La Cina e anche la Francia hanno ribadito la necessità di una soluzione politica che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale della Siria, e di un’azione decisa contro i gruppi terroristici.
Koussay Aldahhak, rappresentante siriano presso l’ONU (che era stato nominato all’ONU dal regime di Assad), ha dichiarato che la nuova Siria sarà “uno Stato di diritto, dove la legge si applicherà a tutti.” Ha chiesto la revoca totale delle sanzioni, affermando che esse ostacolano la ricostruzione nazionale.
Joumana Seif, consulente legale e rappresentante della società civile siriana, ha lanciato un monito: “Non vogliamo costruire un nuovo Paese sulle spalle di nuovi massacri.” Ha chiesto che le sanzioni siano revocate e che sia dato spazio a una transizione democratica.
La strada verso la pace resta lunga e complessa per la Siria, ma come ha ribadito Geir Pedersen, “la Siria è a un crocevia: può tornare nella violenza oppure avviarsi verso un futuro pacifico e inclusivo”.