Alla fine è venuto il momento di salire sul podio dell’Assemblea Generale dell’ONU anche per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che oggi ha ricordato quella prima volta che dallo stesso podio parlò al mondo, ben 40 anni fa, quando era il giovanissimo ambasciatore israeliano all’ONU. Lo ha fatto per sostenere che mentre nel mondo da allora tutto è cambiato e ora si discute perfino di intelligenza artificiale, “solo in questo Palazzo dell’ONU tutto resta sempre fermo”, ha detto con tono sprezzante il premier israeliano, affermazione accolta, come tante altre, con rumorose grida e applausi di decine di simpatizzanti di Israele che affollavano la galleria riservata ai giornalisti e al pubblico invitato (ma la sala dell’assemblea generale si era in gran parte svuotata perché molti rappresentanti per protesta erano usciti). Infatti, Netanyhau ha detto che nel 1984 dovette difendere Israele dagli attacchi di chi la voleva espulsa dalle Nazioni Unite, lo stesso appello che il presidente palestinese Abbas ha proposto ieri nel suo discorso.
Nel suo discorso il premier israeliano ha continuato a criticare le Nazioni Unite definendole una “palude di bile antisemita” e ha affermato che la preoccupazione dei suoi membri per Gaza e i palestinesi non è motivata dall’umanitarismo ma dall’avversione per gli ebrei: “Non si tratta di Gaza”, ha detto riferendosi alle critiche rivolte nell’ultimo anno alla gestione della guerra da parte del suo governo. “Riguarda Israele. Si è sempre trattato di Israele. Sulla stessa esistenza di Israele”. “Vediamo questa confusione morale quando Israele viene falsamente accusato di genocidio”, ha anche detto Netanyahu. Ma “combatteremo finché non otterremo la vittoria, la vittoria totale. Non abbiamo alternative”.

Netanyahu ha utilizzato venerdì mattina gran parte del tempo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite soprattutto per attaccare l’Iran e i suoi alleati, mentre il conflitto che vede impegnata Israele in Medio Oriente si intensifica con altri gruppi sostenuti da Teheran, tra cui la potente milizia sciita Hezbollah in Libano e le forze Houthi, nello Yemen.
“Ho un messaggio per i tiranni di Teheran: se ci colpite, colpiremo voi”, ha detto Netanyahu. “Non c’è posto in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere, e questo vale per l’intero Medio Oriente”. E ancora: “Stiamo vincendo”, ha detto mostrando una mappa che ha definito “la maledizione” dell’influenza iraniana e un’altra che ha descritto come una benedizione. Netanyahu ha anche chiesto la fine della “pacificazione” con l’Iran e bisogna fare tutto il possibile per garantire che l’Iran non ottenga armi nucleari.

Intanto la proposta di cessate il fuoco avanzata dagli Stati Uniti, la Francia e altri paesi tra Israele e Hezbollah per evitare una invasione israeliana del Libano, ha ricevuto nelle ultime ore una fredda accoglienza. Alle Nazioni Unite, Netanyahu ha descritto la sconfitta di Hezbollah come una missione esistenziale per Israele e ha definito il gruppo “un esercito terroristico arroccato sul nostro confine settentrionale”. Nel discorso non ha mai menzionato la proposta di cessate il fuoco sostenuta dagli Stati Uniti.
Prima che il premier salisse sul palco, il suo ufficio aveva rilasciato una dichiarazione affermando che “apprezza gli sforzi degli Stati Uniti” verso un cessate il fuoco in Libano e che avrebbe continuato le discussioni “nei prossimi giorni”. Ma i parlamentari israeliani di estrema destra che mantengono al potere la sua coalizione di governo, respingono la possibilità di “cessate il fuoco” con Hezbollah, ma spingono Netanyahu a invadere il Libano per regolare i conti una volta per tutte con le milizie sciite finanziate dall’Iran.

All’inizio del suo discorso, Netanyahu ha detto di aver “deciso di venire qui per parlare a nome del mio popolo, per parlare per il mio Paese e per parlare a favore della verità”, sottolineando che Israele desidera la pace. “Ci troviamo di fronte a nemici selvaggi che cercano il nostro annientamento, e dobbiamo difenderci da questi selvaggi assassini, che cercano non solo di distruggerci ma anche di distruggere la nostra civiltà comune e riportare tutti noi a un’era oscura di tirannia e terrore”.
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“Per 18 anni Hezbollah si è rifiutato sfacciatamente di attuare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite” ha detto Netanyahu, aggiungendo che “i suoi miliziani nascondono un missile in ogni cucina, un razzo in ogni garage”, mettendo in pericolo il proprio popolo. Per Netanyahu, dunque, “finché Hezbollah sceglierà la via della guerra”, Israele ha tutto il diritto di mettere i suoi cittadini in sicurezza. Quindi, “continueremo a indebolire Hezbollah finché non saranno raggiunti tutti i nostri obiettivi”, ha affermato il premier israeliano.
Il premier israeliano ha anche ricordato il suo intervento al dibattito generale dell’anno scorso, quando aveva affermato che Israele si trova di fronte alla stessa scelta senza tempo che Mosè pose davanti al suo popolo migliaia di anni fa, “che le nostre azioni determineranno se lasceremo alle generazioni future una benedizione o una maledizione”. “E questa è la scelta che dobbiamo affrontare oggi”, ha sottolineato, citando “la maledizione dell’incessante aggressione dell’Iran o la benedizione di una riconciliazione storica tra arabi ed ebrei”.
Nei giorni successivi, quella “benedizione” si è avvicinata sotto forma di un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, “ma poi è arrivata la maledizione del 7 ottobre” quando migliaia di terroristi di Hamas, sostenuti dall’Iran, hanno fatto irruzione in Israele, commettendo “atrocità inimmaginabili”. ”, incluso il brutale assassinio di 1.200 persone, compresi bambini; violenza sessuale contro le donne; e il rapimento di 251 persone provenienti da diversi paesi. “Scene che ricordano l’olocausto nazista”, ha sottolineato il primo ministro Netanyahu.

Parlando della richiesta di mandati di arresto avanzata dai procuratori della CPI contro di lui e il ministro della Difesa Yoav Gallant, Netanyahu ha parlato di un’azione “alimentata dall’antisemitismo”. “I veri criminali di guerra – ha aggiunto – sono a Gaza, in Siria, in Iran e nello Yemen. Quelli che stanno con loro dovrebbero vergognarsi di se stessi. Ma Israele vincerà questa battaglia perché non abbiamo scelta. Israele non se ne andrà docile in quella buona notte”, ha aggiunto, parafrasando il poeta Dylan Thomas.
Netanyahu ha ripetuto l’auspicio affinché Israele raggiunga “uno storico accordo di pace con l’Arabia Saudita”. “Che benedizione porterebbe una pace del genere con l’Arabia Saudita”, ha affermato Netanyahu, spiegando che ciò rappresenterebbe una manna per il turismo, il commercio, l’energia, l’intelligenza artificiale e molto altro. “Sarebbe un vero perno della storia… una riconciliazione tra La Mecca e Gerusalemme”.

Quando Netanyahu ha finito il suo intervento ed è da poco uscito dall’Assemblea Generale con molti posti vuoti ma con gli applausi del pubblico ospite nella galleria, ecco che arriva la notizia che l’aeronautica militare israeliana ha scatenato una serie di massicci attacchi aerei mirati su Beirut, nel tentativo di colpire il quartier generale di Hezbollah. Sono state segnalate numerose vittime nei bombardamenti. Rapporti non confermati dei media ebraici hanno affermato che il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah sarebbe stato uno degli obiettivi dell’azione, ma al momento non è ancora chiaro se effettivamente sia stato colpito. Gli attacchi israeliani avrebbero raso al suolo sei edifici. Si tratta dell’attacco più pesante condotto su Beirut in quasi un anno di conflitto tra Hezbollah e Israele. Sottolineando la natura straordinaria dell’attacco, il portavoce dell’esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha affermato che il centro di comando principale di Hezbollah è stato costruito sotto edifici civili nel sobborgo di Dahiyeh, una nota roccaforte dei paramilitari a Beirut. Alcune riprese effettuate a Beirut hanno mostrato la totale distruzione della struttura.
Nel primo pomeriggio lo staff di Netanyahu fa sapere che il premier israeliano ha anticipato a questa sera il rientro in Israele da New York.