Le “dichiarazioni congiunte” magari tengono l’attenzione internazionale sui conflitti ma le loro parole non servono a risolverli. Infatti questa volta il segretario di Stato degli USA, Antony Blinken, con la ministra degli Esteri dell’Argentina, Diana Mondino, hanno voluto rivolgere un ulteriore appello alla comunità internazionale a “rafforzare le pressioni” sul governo di Nicolas Maduro “affinché venga rispettato il voto dei venezuelani” alle elezioni presidenziali del 28 luglio. In una nota emessa al termine della “riunione ministeriale sulla situazione urgente del Venezuela” tenuta giovedì al Palazzo di Vetro di New York durante i lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si leggeva che “non possiamo accontentarci solo di dichiarazioni congiunte, dobbiamo intraprendere azioni congiunte, questo è l’unico modo per cambiare i calcoli di Maduro e il suo comportamento”, ha affermato Blinken. Il segretario di Stato Usa ha insistito quindi sulla necessità di chiedere al regime di Maduro di “porre fine alla repressione dei manifestanti pacifici e degli oppositori politici e di rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti coloro che sono stati detenuti arbitrariamente”. Per Washington “bisogna usare tutti gli strumenti a disposizione per condannare i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani commesse contro il popolo venezuelano, come hanno fatto e continueranno a fare gli Stati Uniti”.

Da parte sua la ministra argentina Mondino ha ricordato gli sforzi portati avanti dal suo governo sia per quanto riguarda l’accoglienza di rifugiati venezuelani che nella condanna delle violazioni dei diritti umani commesse in Venezuela. “Abbiamo sollecitato la Corte penale internazionale a richiedere un processo preliminare per emettere, eventualmente, se ritengono che sia la cosa giusta da fare, mandati di arresto per Nicolás Maduro e altri leader del regime nel quadro di un’indagine in corso che va avanti da almeno due anni”, ha affermato. Mondino ha quindi sottolineato “la sentenza della giustizia argentina che ha ordinato, in base al principio di giurisdizione universale, l’arresto immediato per crimini contro l’umanità del dittatore Maduro, Diosdado Cabello e più di 30 altri agenti della repressione statale”.
Nella dichiarazione congiunta, firmata anche dall’Italia e da altri 30 paesi che hanno partecipato alla riunione ministeriale presieduta da Blinken (l’Italia non aveva attorno al tavolo il ministro Tajani già tornato martedì sera in Italia per impegni con la presidenza del G7, ma nel suo discorso a UNGA79 la premier Giorgia Meloni aveva dato spazio alla crisi nel Venezuela) si legge che questi “si sono riuniti ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per discutere le nostre gravi preoccupazioni sull’urgente situazione in Venezuela e ribadire il nostro sostegno al rispetto dei principi democratici e alla difesa dei diritti umani in quel paese”.

La dichiarazione prosegue con un “applaudiamo il popolo venezuelano per la sua partecipazione alle elezioni presidenziali del 28 luglio, nonostante le sfide significative. Oltre 12 milioni di persone si sono recate alle urne ed hanno esercitato il proprio diritto di voto. La loro volontà, così come espressa alle urne, deve essere rispettata. Eppure sono trascorsi quasi due mesi dalle elezioni e le richieste di trasparenza elettorale sia da parte dei venezuelani che della comunità internazionale rimangono senza risposta”.
Si fa notare come gli osservatori elettorali internazionali hanno documentato “le loro serie preoccupazioni circa la trasparenza e l’integrità del processo elettorale, in particolare il rifiuto della Commissione elettorale nazionale di rilasciare risultati dettagliati e verificabili in modo indipendente dai seggi elettorali, come richiesto”.
Quindi il gruppo di paesi firmatari resta seriamente preoccupato “per la repressione diffusa e in corso, nonché per gli abusi e le violazioni dei diritti umani denunciati a seguito delle elezioni. Questi abusi includono arresti e detenzioni arbitrarie (anche di bambini), morti, negazione delle garanzie di un giusto processo e tattiche intimidatorie contro l’opposizione democratica e altri membri della società civile”.
At the Multilateral Side-Event on 🇻🇪 Venezuela co-chaired by 🇺🇸 @SecBlinken & 🇦🇷 FM @DianaMondino , Italy reiterated what Italy’s PM Meloni said two days ago in the UN General Assembly: 🇮🇹 fully supports the legitimate aspirations of freedom and democracy of millions of… pic.twitter.com/cs5f45rmpy
— Italy UN New York (@ItalyUN_NY) September 26, 2024
Si ricorda che, nel contesto della violenta repressione contro i membri dell’opposizione, “un mandato di arresto per motivi politici emesso il 3 settembre nei confronti del candidato presidenziale Edmundo González Urrutia, che secondo i documenti elettorali pubblicamente disponibili aveva ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni del 28 luglio, lo ha costretto a lasciare il Paese”.
Quindi la dichiarazione dei 31 paesi chiede “il rilascio immediato di coloro che sono detenuti arbitrariamente senza il rispetto delle garanzie di un giusto processo. È fondamentale che ai venezuelani sia consentito esprimere pacificamente le proprie opinioni politiche, anche attraverso l’esercizio della libertà di riunione ed espressione pacifica, senza timore di ritorsioni”.
Oltre a chiede la fine dell’uso eccessivo della forza, della violenza politica e delle molestie contro l’opposizione e la società civile, i 31 paesi firmatari della dichiarazione chiedono “l’immediato ritorno in Venezuela dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e le condizioni necessarie affinché possa svolgere pienamente il suo mandato. Inoltre, chiediamo al Venezuela di rispettare e rispettare i suoi impegni ai sensi del diritto internazionale, in particolare come parte della Convenzione di Caracas sull’asilo diplomatico del 1954, garantendo un passaggio sicuro ai sei richiedenti asilo che attualmente risiedono nella residenza ufficiale della Repubblica di Argentina e permettendo loro di lasciare il territorio venezuelano”.
I leader politici venezuelani devono avviare discussioni costruttive e inclusive su una transizione con garanzie per entrambe le parti “di risolvere l’impasse politica del paese e ripristinare pacificamente le istituzioni democratiche in conformità con la legge venezuelana, nonché con la volontà del popolo espressa attraverso i loro voti il 28 luglio”. La dichiarazione congiunta conclude ribadendo che “siamo dalla parte dei milioni di venezuelani che continuano a rischiare la vita e il benessere per chiedere un futuro più democratico, prospero e sicuro per se stessi e per il proprio Paese”.
Il documento porta la firma dei governi di Argentina, Australia, Austria, Bosnia ed Erzegovina, Canada, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Repubblica Dominicana, Estonia, Unione Europea, Germania, Guatemala, Guyana, Ungheria, Irlanda, Italia, Kosovo, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Panama, Perù, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti.
La riunione sul Venezuela organizzata dagli USA e dall’Argentina, avveniva il giorno dopo che il governo venezuelano di Maduro era salito al podio dell’Assemblea Generale (vedi video sopra). Questa volta il presidente rieletto tra le contestazione non è venuto a New York, al posto suo il ministro degli esteri Yvan Gil Pinto, che si è scagliato contro gli Stati Uniti e l’Unione Europea, complici d’Israele nel “genocidio contro il popolo palestinese” e per aver fatto resuscitare con la strategia NATO contro la Russia “il nazismo” in Europa.
Il rappresentante di Maduro, nel suo discorso ha anche accusato gli USA di aver stabilito “basi militari con la complicità dei governi dell’Argentina e dell’Ecuador per promuovere e favorire il terrorismo”, accusando gli USA di tentativi di omicidio e destabilizzazione e attacchi contro persone in Venezuela”. A tal fine, ha affermato il ministro di Caracas dal podio di UNGA79, l’amministrazione Biden avrebbe fatto “ricorso all’informazione e tecnologie della comunicazione, in particolare di social media controllati dai prestanome dell’Impero che fabbricano guerre psicologiche mirate allo sfruttamento e spargere sentimenti di odio e distruzione senza alcun controllo aggiuntivo”. Oltre a questo, da parte degli USA ci sarebbero stati “attacchi informatici a infrastrutture critiche, comprese quelle vitali dei servizi pubblici bancari, petroliferi e dei sistemi elettorali, come è successo nel mio paese il 28 di luglio”.