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September 26, 2024
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Biden sul Libano “tradito” da Netanyahu, Abu Mazen implora: fermate genocidio

Il premier israeliano è già a New York, venerdì parlerà dal podio di UNGA79 da dove già il leader palestinese ha accusato Israele e "il mondo intero responsabile"

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 5 mins read

Il Medio Oriente e la guerra già iniziata tra Israele e Hezbollah che sta infliggendo sofferenze enormi al Libano e potrebbe farlo precipitare in abissi più profondi di quelli della guerra civile di 40 anni fa, tiene sempre più banco all’ONU che risulta – nelle sue iniziative – incapace o latitante nell’uso di qualsiasi “bastone” che la legge internazionale e la Carta ONU prevedono per fermare il massacro. Dopo la riunione del Consiglio di Sicurezza di ieri sera in cui gli USA e la Francia avevano anche annunciato un cessate il fuoco di 21 giorni, sostenuta da diversi paesi, il governo israeliano ha giovedì mattina smantellato questa possibilità. La tregua è stata respinta da Benjamin Netanyahu, che secondo fonti di Washington prima avrebbe accettato il cessate il fuoco ma poi ha ordinato di continuare gli attacchi contro le postazioni di Hezbollah.

Così giovedì mattina c’è stata l’ennesima ondata di raid ed un nuovo blitz mirato su Beirut, per eliminare “la testa di comando” responsabile degli attacchi contro Israele.

Ormai l’invasione del Libano da parte d’Israele non sembra più evitabile e l’amministrazione Biden teme l’allargamento di un conflitto su larga scala in Medio Oriente che aveva cercato finora di evitare fin dal 7 ottobre, 2023. Il Presidente USA aveva incontrato il francese Emmanuel Macron a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu e in una dichiarazione congiunta i due avevano chiesto “un accordo sul confine tra Israele e Libano che garantisca sicurezza e protezione per consentire ai civili di tornare alle loro case”. Il piano – sottoscritto anche da Regno Unito, Ue, Italia, Germania, Australia, Canada, Giappone, Arabia Saudita, Emirati e Qatar – prevedeva un cessate il fuoco di tre settimane per dare spazio a negoziati più ampi, anche su Gaza. Le speranze di una pausa nelle ostilità si sono però infrante sul governo di Netanyahu. Il premier israeliano, già arrivato a New York e che interverrà sul podio di UNGA79 venerdì mattina, non ha più risposto all’appello di Usa e Francia, come ha fatto sapere il suo ufficio. Anzi, appena arrivato a JFK da Israele, ha affermato perentorio che “continueremo a colpire Hezbollah con tutta la forza finché non riporteremo i residenti del nord nelle loro case”.

Irritata la Casa Bianca, che attraverso la portavoce Karine Jean-Pierre ha fatto trapelare che la dichiarazione comune per il cessate il fuoco era stata “coordinata” proprio con il governo israeliano. Ma l’irritazione della Casa Bianca nei confronti del governo israeliano non è ancora abbastanza per fermare l’ennesimo pacchetto da 8,7 miliardi di dollari in aiuti militari.

Mahmoud Abbas (Abu Mazen), President of the State of Palestine, addresses the general debate of the General Assembly’s seventy-ninth session. (UN Photo/Loey Felipe)

Intanto oggi è stata anche la giornata del discorso del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas –  chiamato anche col nome Abu Mazen – all’Assemblea Generale dell’Onu. Accolto dall’intenso applauso, quando sale sul podio della 79esima Assemblea Generale dell’Onu, Mazen lancia l’ultimo appello alla comunità internazionale: “Fermate il genocidio, smettete di mandare armi a Israele. Questa follia non può continuare, il mondo intero è responsabile di quel che succede alla nostra gente a Gaza”.

Poi il leader dell’Anp garantisce: “Non ce ne andremo, la Palestina è la nostra terra, e se qualcuno se ne andrà sono coloro che la occupano” accusando più volte Israele di “genocidio”. Per il leader palestinese, Israele, “che rifiuta di attuare le risoluzioni delle Nazioni Unite, non merita di essere un membro di questa organizzazione internazionale”. Poi, rivolto agli Usa, esprime amarezza nel constatare che “la più grande democrazia del mondo, abbia ostacolato tre volte, ponendo il veto, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza. E oltre questo invia a Israele armi mortali per uccidere la nostra gente. Non capisco perché gli Stati Uniti ci continuano a privare dei nostri diritti legittimi”.

Mazen nel suo discorso ha denunciato la violenza dei coloni e l’espansione degli insediamenti nei Territori occupati. “La Cisgiordania è sottoposta a un’aggressione israeliana quotidiana e continua”, ha affermato. “Si assiste a un’attività di insediamento feroce. Stanno costruendo ovunque in Palestina, come se fosse tutta loro”, ha proseguito Abu Mazen, sottolineando che i palestinesi della Cisgiordania sono “sottoposti al terrorismo di bande di coloni sotto il patrocinio e il sostegno del governo israeliano e dell’esercito occupante, che distrugge centinaia di case nelle terre della Palestina”.

Mohammad Mustafa, Prime Minister and Minister for Foreign Affairs of the State of Palestine, sits at the delegation seat as Mahmoud Abbas (at podium and on screens), President of the State of Palestine, addresses the general debate of the General Assembly’s seventy-ninth session. (UN Photo/Loey Felipe)

Il leader dell’Anp ha chiesto nuovamente all’ONU “un cessate il fuoco immediato, la consegna di aiuti umanitari a Gaza, dove non hanno nulla, il ritiro completo di Israele”. E poi, ha ribadito che lo stato palestinese deve esistere governando su Gaza e Cisgiordania: “Non chiediamo di più ma non vogliamo di meno”.

“Cosa ci manca per essere il 194esimo paese membro dell’Onu? Abbiamo la terra, abbiamo la gente, abbiamo la cultura, non ci manca nulla”, ripete Mazen, e con forza il vecchio leader palestinese  chiede “una conferenza internazionale entro un anno per la soluzione dei due stati”.

Non si fa attendere la replica dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon. “Solo quando si presenta sulla piattaforma dell’Onu Abu Mazen parla di una soluzione pacifica. Non c’è ipocrisia e menzogna più grandi di questa”.

Mentre Mahmoud Abbas parlava all’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza teneva una riunione a porte chiuse con la Lega Araba per discutere del conflitto in Medio Oriente e dell’imminente invasione da parte d’Israele del Libano. Alla fine della riunione il Ministro degli Esteri della Slovenia Tanja Fajon (presidente di turno del UNSC) è apparsa allo “stake out” per leggere una dichiarazione ai giornalisti con accanto il presidente della Lega Araba Aboul Gheit.

Ad certo punto siamo riusciti a porre una domanda facendo anche un commento:

Presidente e ministro Fajon, l’abbiamo sentita parlare di speranza e di pace. Eppure la parola speranza dovrebbe essere usata più all’Assemblea Generale, dato che se al Consiglio di Sicurezza, come lei ha appena detto, c’è ora consenso sulla pace, tutti e Quindici volete la stessa cosa, allora il Consiglio non dovrebbe sperare nella pace ma dovrebbe imporre la sua volontà. Quindi, ci può spiegare perché il Consiglio di Sicurezza non è in grado di imporre con una risoluzione sotto il capitolo VII la sua volontà?

Tanja Fajon, a nome della Slovenia ma anche presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, ha risposto. “Grazie per la domanda. Io ho appena detto durante il nostro incontro che fin dal 7 ottobre, col terrificante attacco di Hamas contro i civili in Israele, il Consiglio di Sicurezza ha approvato 4 risoluzioni. Giustamente, tu hai osservato che non sono state implementate. Abbiamo bisogno che le risoluzioni siano implementate. Come presidente del Consiglio di Sicurezza questa settimana, la Slovenia ha esortato tutti i membri a continuare la pressione per far implementare le risoluzioni. Francamente, se tutti i paesi in questo Palazzo di Vetro rispettassero la legge internazionale e la Carta dell’ONU non ci sarebbero conflitti”.

A quel punto ha voluto aggiungere qualcosa anche il Presidente della Lega Araba Aboul Gheit: “Vorrei commentare la tua domanda. E’ triste che ci sono molti, molti paesi occidentali, che non hanno ancora la volontà politica, per esercitare quello di cui parlavi prima. Di far agire il Consiglio sotto il capitolo VII. Questa è la triste situazione che ci dobbiamo confrontare oggi nel mondo. Grazie”.

 

 

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Giornalista e scrittore. Nato e cresciuto in Sicilia, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America con Il Giornale di Montanelli, America Oggi e USItalia weekly. Dal Palazzo di Vetro oggi racconta l’ONU dopo aver fondato e diretto La Voce di New York dal 2013 a gennaio 2023 I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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