Questa mattina durante il briefing con i giornalisti al Palazzo di Vetro si sono collegate virtualmente da Haiti Edem Wosornu, direttrice delle operazioni e dell’advocacy dell’Ufficio per gli affari umanitari ONU, Lucia Elmi, direttrice dei Programmi di Emergenza dell’UNICEF, e Andrea Koulaimah, direttrice per l’America latina e i Caraibi per le operazioni europee di protezione civile e di aiuto umanitario (ECHO), per illustrare le sfide che il Paese sta affrontando.
Questa delegazione si trova ad Haiti per una visita di quattro giorni, per incontrare le autorità haitiane e i partner nazionali, internazionali e locali e discutere della grave crisi che ha colpito il Paese e delle possibili strategie da mettere in campo a supporto degli aiuti disposti per l’emergenza.
Le funzionarie hanno riferito alcune testimonianze raccolte dalla comunità che lotta contro una delle peggiori catastrofi umanitarie della sua storia, aggravata da marzo a causa delle rinnovate violenze nella capitale Port-au-Prince da parte di gang armate.
Oltre 578.000 persone sono attualmente sfollate ad Haiti e oltre 1.000 scuole sono state chiuse o hanno visto le lezioni interrompersi. A distanza di 8 settimane dalla ripresa dell’anno scolastico le alte dirigenti hanno dichiarato: “La nostra preoccupazione è che ancora non sussistano le condizioni di sicurezza per poterle riaprire”.
Le relatrici hanno parlato di condizioni sempre più precarie che colpiscono soprattutto i più piccoli e i più vulnerabili. Incalzate dalle domande dei giornalisti che chiedevano sull’operato della forza keniota da poco arrivata a Port-au-Prince, hanno riferito che: “Non li abbiamo visti e neppure incontrati”.
Anche se la riapertura dell’aeroporto internazionale ha permesso la ripresa degli invii umanitari, che in passato erano stati bloccati e in parte saccheggiati, il grido di aiuto è unanime. “Necessitano finanziamenti e occorrono rapidamente”. I fondi continuano a essere inconsistenti, i sostenitori iniziano a defilarsi e anche verso gli Stati Uniti, i maggiori finanziatori finora, c’è molta sfiducia sulla possibile ripresa.
Intanto il primo ministro di Haiti Garry Conille e il capo della polizia Normil Rameau hanno visitato il più grande ospedale del Paese situato nella capitale, dopo che le autorità hanno ripreso il controllo del nosocomio sottratto alle gang.
Il leader Conille ha riferito che l’edificio sembrava “una zona di guerra” dopo che negli ultimi mesi è stato teatro di diverse battaglie. “Questo ospedale non è per i ricchi, è per i poveri. Ci sono persone che hanno bisogno di un aiuto serio e che non possono andare da un medico privato”.
Il consigliere Louis Gérald Gilles ha annunciato che l’ospedale, che prima delle rappresaglie ospitava 1.500 persone al giorno, dovrebbe essere completamente ripristinato entro febbraio 2026.
Gli attacchi dei gruppi criminali hanno spinto il sistema sanitario di Haiti sull’orlo del collasso e l’escalation di violenza ha portato a un’impennata di pazienti con malattie gravi e una carenza di risorse per curarli.
Ad aprile, un ospedale di Medici Senza Frontiere è stato costretto a ridurre il numero di pazienti ambulatoriali che aveva in cura ogni giorno, da 150 a 50, lasciando decine di persone in fila per lunghe ore in attesa di cure mediche.