L’Ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU Linda Thomas-Greenfield e il “Wall Street Journal” hanno ospitato giovedì alla Missione USA, un incontro per chiedere la protezione dei giornalisti in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa che si celebra ogni anno il 3 maggio. Al centro del dibattito, il caso del reporter del WSJ Evan Gershkovich, arrestato in Russia il 29 marzo 2023, con altri casi di giornalisti arrestati nel mondo mentre facevano il loro lavoro.
Nella grande sala della moderna sede diplomatica americana situata proprio difronte al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite di New York, con l’Ambasciatrice Thomas-Greenfield erano presenti il padre, la madre e la sorella di Evan Gershkovich; il CEO di Dow Jones ed editore del WSJ Almar Latour, l’Assistente Speciale del Presidente degli Stati Uniti per la Democrazia e i Diritti Umani Kelly Razzouk; la relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa Mariana Katzarova (intervenuta via video); il vicepresidente del gruppo di esperti legali sulla libertà dei media, il Prof Can Yeginsu. A moderare la nota giornalista della NBC Andrea Mitchell che ha anche fatto intervenire via video il suo collega David Rohde che fu tenuto prigioniero in Bosnia. All’evento ha partecipato anche l’ambasciatore Evangelos C. Sekerisat, rappresentante permanente della Grecia presso le Nazioni Unite e co-presidente di un gruppo di 27 paesi membri delle Nazioni Unite (tra cui anche l’Italia) che sostengono la libertà di stampa e la protezione dei giornalisti nel mondo.
L’Ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield ha aperto l’incontro dicendo che “mentre piangiamo le dozzine di giornalisti uccisi a Gaza; mentre altre centinaia rimangono ingiustamente detenuti in tutto il mondo come Evan Gershkovich, che oggi supera i 400 giorni – 400 giorni in una prigione russa – questa occasione più che una celebrazione è un urgente invito all’azione”.
L’ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU ha ricordato “che una stampa libera e indipendente è la pietra angolare di ogni democrazia. Contiamo sui media per denunciare la corruzione e contrastare la disinformazione; per facilitare lo scambio di idee e puntare i riflettori sugli abusi dei diritti umani.
Contiamo sui giornalisti e sugli operatori dei media per cercare la verità, per dire al mondo ciò che abbiamo bisogno di sapere e per mantenere i potenti responsabili”. Eppure, in tutto il mondo, ha continuato Thomas-Greenfield, “i giornalisti sono intimiditi e molestati. Sono arbitrariamente e illegalmente sorvegliati dai governi, compresi i loro stessi governi. Vengono fatti obiettivo di attacchi informatici e campagne di disinformazione. E, troppo spesso, vengono attaccati violentemente e detenuti ingiustamente – semplicemente per aver detto la verità”.
Quindi la diplomatica americana ha ribadito che questo “è stato il crimine di Evan: denunciare i fatti sulla guerra illegale della Russia in Ucraina. Una guerra che continua ancora oggi”. L’ultimo articolo di Evan, pubblicato un giorno prima del suo arresto, infatti sottolineava l’impatto negativo della guerra sull’economia russa. “Un costo dell’aggressione che il Cremlino ha cercato così disperatamente di nascondere al suo stesso popolo” ha detto Thomas-Greenfield, che ha giudicato l’azione del Cremlino di arrestare Gershkovich non un atto di forza “ma dai debolezza”.

La storia non sarà clemente con chi reprime il dissenso con la forza, ha aggiunto l’ambasciatrice, che poi ha citato Martin Luther King: “L’oppressione genera sempre resistenza e come ha detto il dottor King, l’arco morale dell’universo si piega sempre verso la giustizia”.
Dopo aver ricordato che ogni giorno gli Stati Uniti lavorano per liberare i giornalisti ingiustamente imprigionati e combattere l’impunità per la violenza e altre ingiustizie commesso contro di loro, Thomas-Greenfield ha detto che il suo governo sta promuovendo sforzi come “Reporters Shield, un programma che contrasta i tentativi di mettere a tacere i giornalisti e reprimere gli investigatori segnalazione; e aiuta a combattere le cause legali intese a intimidire o gravare finanziariamente sui giornalisti”.
Quindi, dopo aver ringraziato i giornalisti in sala “per dare a persone come me le informazioni necessarie per prendere decisioni basate sui fatti e per aver posto domande difficili anche a me senza mai cedere finché non avete le risposte giuste! E grazie ancora per essere andati negli angoli più oscuri del mondo per far luce sulla verità”, Thomas-Greenfield ha introdotto la sorella di Evan, Danielle Gershkovich. La sorella maggiore del giornalista del WSJ, ha detto che subito detto che “Evan non avrebbe mai dovuto essere arrestato solo per aver fatto il suo lavoro”. Danielle, con la voce che ogni tanto si spezzava dall’emozione, ha rivelato che aver visto le foto e video di suo fratello recentemente in un’udienza di un tribunale russo, “sono momenti agrodolci per la mia famiglia. È così bello vederlo e avere la certezza che sta bene. Ma è incredibilmente difficile vedere mio fratello dietro un vetro in un’aula di tribunale a migliaia di chilometri di distanza. È rincuorante vederlo essere così forte… E’ importante vederlo sorridere e alzarsi a testa alta di fronte a una situazione così orribile. Lavora duro ogni giorno per mantenere quel buon spirito che vediamo in quelle immagini. Ma non possiamo dimenticare che lascia quell’aula e torna subito in una piccola cella di prigione, con solo un’ora consentita fuori ogni giorno. Proprio come fa ogni giorno da 400 giorni, ormai. Questa è la sua realtà”.
Danielle ha continuato dicendo di sentire “la voce di mio fratello nella mia testa quando leggo le sue lettere e so che siamo entrambi forti l’uno per l’altro. Ma se mi avessero detto, come sorella maggiore della nostra infanzia, che non avrei avuto più modo di dire al mio fratellino ‘mi manchi così tanto’, non ci avrei creduto. Ma è esattamente nella situazione in cui mi ritrovo ogni settimana. Vogliamo solo Evan a casa; ci manca così tanto”.

Mentre Danielle continuava, un velo di commozione avvolgeva la sala: “Evan dovrebbe essere fuori a scrivere facendo il lavoro che ama. Dovrebbe uscire con i suoi amici, fare il tifo per l’Arsenal, pianificare il suo prossimo viaggio e dandomi la sua recensione del nuovo film di Dune”. Dopo aver ribadito che la sua famiglia mantiene la fiducia nell’impegno del presidente Biden, Danielle ha concluso: “Lo abbiamo detto fin dal primo giorno e continueremo a dirlo finché non sarà a casa: Evan faceva il suo lavoro di giornalista, e il giornalismo è non un crimine”.
La serata è continuato con gli esperti che hanno discusso i crescenti attacchi ai giornalisti e le restrizioni alla libertà di stampa attraverso le minacce alla sicurezza dei operatori dei media, con continue azioni giudiziarie o extralegali da parte degli stati e la chiusura forzata dei media.
Alla fine della conferenza, abbiamo avvicinato alcuni protagonisti dell’evento.
A Danielle Gershkovich, sorella di Evan, abbiamo chiesto come giudicasse finora quello che l’amministrazione del presidente Joe Biden ha fatto per il rilascio di suo fratello:
“Siamo grati al Presidente Biden per aver promesso a tutti noi che Evan tornerà a casa. Il futuro purtroppo non sappiamo quale sarà, viviamo alla giornata, noi vogliamo che Evan torni a casa, il più presto possibile. Non vogliamo che questo continui un giorno in più”.
Magari che torni prima delle elezioni di novembre…
“Io spero al più presto possibile”.
Se potesse inviare un messaggio al presidente della Russia Vladimir Putin, in questo momento, cosa gli direbbe?
“Che voglio soltanto mio fratello a casa, mi manca così tanto, non faccio che pensare ogni giorno al suo ritorno a casa. E gli direi che lui è soltanto un giornalista, che stava svolgendo il suo lavoro, non è un crimine. Lo voglio a casa”.

Al Prof. Can Yeginsu (Giurista della Columbia University sui diritti umani), abbiamo chiesto se l’amministrazione Biden ha già fatto tutto quello che ci fosse da fare e se un ritorno di Trump potrebbe cambiare qualcosa.
“Credo che sia positivo il tentativo del governo americano di rafforzare la protezione per i cittadini detenuti all’estero, inclusi i giornalisti, con un ordine esecutivo da parte dell’amministrazione Biden. Ma quello che penso sia critico fare per gli Stati Uniti adesso e per i paesi che la pensano come loro, è unire gli sforzi a livello internazionale per un’azione comune, e di non dipendere da chi sarà alla presidenza degli USA o premier del Regno Unito etc. Sono certo che questa non è una questione partitica e se dovesse anche cambiare l’amministrazione e arrivare un presidente repubblicano, sono sicuro che anche lui lotterà duramente per i cittadini americani detenuti all’estero”.
Alla fine abbiamo raccolto una dichiarazione anche dall’Ambasciatore Evangelos Sekerisat, rappresentante permanente della Grecia presso le Nazioni Unite, che ha chiuso con un suo intervento l’incontro e che è co-presidente del gruppo dei 27 paesi dell’ONU per la protezione dei giornalisti.

“Siamo qui alle Nazioni Unite per celebrare la giornata della libertà di stampa e per discutere come ormai sia drammatica la situazione per i giornalisti che sono tenuti prigionieri, ai quali vengono ingiustamente negati i loro diritti garantiti. Qui all’ONU abbiamo un gruppo di 27 paesi membri dell’ONU che operano per opporsi ai crimini commessi contro i giornalisti. Il mio paese, la Grecia, con la Francia e la Lituania sono co-presidenti del gruppo, e con gli altri 24 paesi noi cerchiamo di mobilitare il resto dei paesi membri dell’ONU dell’Assemblea Generale con delle misure per aiutare i giornalisti. Perché il loro lavoro è essenziale per il benessere della democrazia e la libertà d’opinione. Quindi speriamo che la giornata del 3 maggio sia celebrata ovunque e che il futuro per i giornalisti sia più sereno e migliore, perché questo significa che lo sarà anche per la democrazia”.