In qualità di Direttore dei programmi globali di International IDEA, un’organizzazione intergovernativa basata in Svezia che studia e sostiene la democrazia in tutto il mondo, il dottor Massimo Tommasoli è tornato a New York in occasione della 68esima Sessione della Commissione sullo Stato delle donne nel mondo, che si svolgerà al Palazzo di Vetro fino al 22 marzo. “Usiamo questo momento per fare delle attività di advocacy sulle tematiche di cui ci occupiamo. Una fra le più importanti per il nostro istituto è la rappresentazione politica delle donne”, ha dichiarato il dott. Tommasoli.
Di recente, IDEA ha ampliato il tema della parità di genere nell’ambito dell’inclusione. “L’esperienza che noi abbiamo applicato per le donne nella politica è adattabile anche ad altri segmenti della popolazione che vengono esclusi dai processi politici: i giovani, gli indigeni, chi viene discriminato in base all’orientamento sessuale o alla proprio disabilità”, ha spiegato il dott. Tommasoli.
Dott. Tommasoli, su che cosa si concentrerà la sua visita qui alle Nazioni Unite?
“Abbiamo organizzato un evento collaterale per presentare un programma che stiamo lanciando in collaborazione con la Commissione dell’Unione Europea, UN Women, l’Unione Interparlamentare, UCLG. Fa parte di un progetto più ampio che riguarda diverse tematiche. Ma per questa occasione ci concentreremo solo sulle norme e sugli stereotipi sociali. I dati che abbiamo raccolto mostrano come l’efficacia delle politiche di genere sia maggiore se applicata nei sistemi democratici. Soprattutto le politiche per l’uguaglianza di genere sono più sostenibili nel medio-lungo termine nelle democrazie. Abbiamo intenzione di coinvolgere parlamenti, organizzazioni della società civile, istituzioni indipendenti – ad esempio, tutte le parti che assicurano l’attuazione delle regole sulla parità di genere nei vari Paesi. Creeremo spazi di dialogo e produrremo analisi partendo anche dalla nostra banca dati, “Global state of democracy indices”. Quindi proporremo nuovi strumenti di formazione per ognuno di questi gruppi di beneficiari, che possono essere parlamentari, alti ufficiali degli organi di garanzia, organizzazione delle società civili, mass media, giornalisti. Proveremo a lanciare una serie di attività più mirate su giovani donne, interessate al coinvolgimento nella politica, e a stabilire con loro quali sono le principali barriere che loro incontrano nel loro agire, sia a livello regionale ma anche interregionale”.
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Può fare degli esempi sul tipo di barriere che le giovani donne che vogliono impegnarsi nella politica potrebbero dover affrontare ?
“Per esempio, i partiti politici hanno ancora una profonda impostazione maschilista nei tempi della politica e nelle modalità di selezione dei candidati alle elezioni, con un bias contro le candidate donne. E questo purtroppo non è cambiato nonostante molti anni di sensibilizzazione. Spesso è un’azione che nella maggior parte dei Paesi è esercitata a prescindere dagli orientamenti politici dei vari gruppi. Ci sono all’interno dei parlamenti delle alleanze che uniscono partiti diversi a favore di questa causa. Però non sono stati ancora così fruttuosi. In alcuni casi sono state introdotte delle norme – le cosiddette “quote rosa” – per incrementare la rappresentanza delle donne in Parlamento, ma anche queste non sono efficaci se non c’è un’azione sulla cultura democratica e politica nel Paese”.
Secondo lei, da dove si può partire?
“Io credo che ci sia molto da fare in termini di definire delle regole, dei codici di condotta. Poi c’è un altro aspetto che è quello dell’attuazione per cui serve una pressione da parte della società civile o dai soggetti che lavorano nel campo dell’informazione per rendere conto dell’attuazione di queste leggi. E poi anche gli organi indipendenti autonomi dovrebbero garantire l’attuazione di queste leggi in maniera imparziale. Infine, bisogna investire nell’istruzione, nelle scuole”.
Quanto vi impegnerà un progetto di questo calibro?
“Questo programma in particolare – lanciato per la Commissione sullo stato delle donne – per IDEA e gli altri partner avrà una durata di tre anni e un costo di 3 milioni di euro. L’intero progetto, più esteso, ha un valore di 11,5 milioni di euro ed è soprattutto seguito da UN Women”.
La Commissione sullo stato delle donne verte sul raggiungimento del quinto Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Può fare il punto della situazione?
“Purtroppo devo dire che il contesto storico attuale di crisi multiple, cominciato con la pandemia ed esacerbatosi con i conflitti, prima in Ucraina e poi a Gaza, ha contribuito a fermare i progressi che erano stati registrati nella prima metà dei 15 anni dell’Agenda 2030. Per quanto riguarda i due Obiettivi più vicini all’azione di IDEA, cioè il quinto e il sedicesimo sulla pace e giustizia nelle istituzioni, riprendo quello che ha già detto il Segretario Generale e i dati di analisi indipendenti. Molti dei progressi si sono fermati. Addirittura in alcuni casi si sono registrati degli arretramenti. L’anno scorso all’ordine del giorno c’era il rinnovamento dello sforzo. Qui alla Commissione si sottolinea l’importanza dell’Obiettivo per sé e per gli altri perché è un cosidetto enabler (che permette di raggiungerne altri) e acceleratore, cioè consente di andare più veloci su questa direzione. Stiamo ragionando in realtà su una situazione che è un’indicatrice delle difficoltà dell’Agenda nel suo complesso. L’azione climatica, la povertà, la crisi degli investimenti a sanità o istruzione: i primi soggetti a essere colpiti sono le donne. C’è ancora da fare. L’importanza di questa Commissione è anche segnalare questo senso di urgenza, condividere delle esperienze dove nonostante le crisi ci siano state azioni positive ed efficaci e costruire connessioni fra i soggetti che dovrebbero operare. Per me questo è l’evento più partecipato dopo l’Assemblea Generale di settembre, quindi è il momento di fare rete”.
Ci sono comunque delle difficoltà?
“Ciò che trovo difficile è l’udienza che tutte queste domande possano ricevere da ministeri delle finanze che hanno enormi problemi per una riduzione del gdp, alti livelli di inflazione, incremento della spesa militare. Questi elementi riducono ed erodono il budget che in passato, invece, avrebbe dovuto essere rafforzato per il raggiungimento degli Obettivi di Sviluppo Sostenibile. Sono allarmato, ma continuo a essere ottimista per la grande partecipazione di questa comunità”.
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Infine, passerei alla Svezia, dove risiede IDEA, che è appena entrata ufficialmente nella NATO. Che cosa implica una mossa del genere in questo momento storico?
“Storicamente la Svezia veniva da una posizione di neutralità e fino a pochi decenni fa anche di non allineamento. Ma già era cambiato qualcosa con l’ingresso del Paese nell’Unione Europea nel 1995: aveva accettato di mettersi in relazione sul piano della politica della difesa e della sicurezza con gli altri Stati. Tutto è cambiato negli ultimi 10-15 anni. C’è stata una postura sempre più aggressiva della Russia. Intorno al 2013/2014, si erano moltiplicati i casi di infrazione delle acque territoriali svedesi da parte di sottomarini russi e invasione dello spazio aereo da parte di caccia russi che facevano parte di una strategia di intensificazione della tensione. Poi c’è stata l’annessione della Crimea dal 2014. Si è potuto verificare questo cambio di approccio anche nell’ambito dell’ultima campagna elettorale in Svezia, dove il tema dell’adesione alla NATO è diventato molto importante per tutti i partiti. Prima veniva sostenuto da parte del centro dx. Invece, di recente anche quelli del centro sx hanno cominciato a parlarne. Se guardiamo il sostegno popolare, così come riportato dalle indagini a campione, all’inizio di marzo due svedesi su tre erano a favore dell’ingresso. Una notevole maggioranza rispetto ai primi anni 2000, ma anche il pericolo russo è molto più percepito nella società svedese di quanto non lo fosse allora. Questo ha a che fare con l’evoluzione dei rapporti geopolitici tra Russia e Paesi che erano nell’orbita ex sovietica in passato e Unione Europea, con l’adesione a quest’ultima da un lato come forte motivatore di integrazione per gli Stati confinanti con Mosca, inclusa l’Ucraina che ne ha fatto una bandiera, e con rivendicazioni da parte della Russia dall’altro lato con pretese e rivendicazioni. Molto è cambiato anche da parte della Finlandia”.
Che cosa ha comportato sul piano della politica estera?
“Una maggiore attenzione ai temi della sicurezza, della difesa e anche della cooperazione con un forte accento sulla ricostruzione Ucraina, una delle priorità per l’attuale governo. E un richiamo deciso alla collaborazione all’interno dell’Unione Europea con delle posizioni condivise che si possono riconoscere nei temi della campagna elettorale per il Parlamento europeo di questi mesi. C’è un impatto sugli argomenti dei flussi e di aiuto allo sviluppo per esempio”.
In merito alle elezioni europee, quali sono i temi più discussi?
“Per ingaggiare l’elettore, il tema più popolare è la migrazione, la stabilità e la sostenibilità dello stato sociale svedese di fronte a questi flussi migratori. Poi subito dopo la sicurezza, rispetto all’Italia la minaccia di un’estensione del conflitto è molto più prossima, considerando che la Svezia è un confinante diretto. La capacità di trasmettere fiducia da parte delle istituzioni europee in merito a queste agende politiche, come il controllo della migrazione, sarà uno degli elementi determinanti per il successo dei partiti che si scontrano a giugno”.