Il Consiglio di Sicurezza ha convocato giovedì pomeriggio una riunione d’emergenza su richiesta della Serbia (e appoggiata dalla Russia) per discutere le nuove norme bancarie che hanno innescato nuove tensioni col Kosovo. Per l’occasione da Belgrado è arrivato a New York il Presidente serbo Aleksandar Vucic e da Pristina il premier kosovaro Albin Kurti, che davanti ai Quindici ambasciatori del Consiglio si sono lanciati – con richiesta di replica per entrambi – in un’accesa discussione. Motivo del contendere, questa volta erano le nuove regole volute dal governo di Pristina, entrate in vigore in Kosovo dal 1° febbraio, con cui la Banca Centrale del Kosovo ha reso l’euro, e non il dinaro serbo, l’unica valuta consentita per le transazioni in contanti.
Il Kosovo, che ha dichiarato l’indipendenza nel 2008, non è riconosciuto dalla Serbia ma neanche dall’ONU di cui infatti non è membro. Ancora una volta il suo premier doveva difendere il suo governo dalle accuse serbe di aver programmato una “lenta pulizia etnica”, per cacciare i serbi dal Kosovo.
Nel riferire al Consiglio, Caroline Ziadeh, rappresentante speciale del Segretario generale e capo della missione di amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), ha dato man forte alle posizioni serbe, affermando che le nuove norme interesseranno decine di migliaia di serbi del Kosovo che vivono in quattro municipalità settentrionali e, inoltre, in generale, l’economia, che dipende dal loro potere d’acquisto. Ziadeh, via video da Pristina, ha affermato che è stata offerta una spiegazione pubblica limitata, nonostante il fatto che, dal 1999, il dinaro sia servito come valuta principale de facto per le transazioni commerciali e in contanti nelle aree a maggioranza serba del Kosovo.“Indipendentemente da quale parte si schieri e quali siano le giustificazioni fornite, e in assenza di comunicazioni pubbliche inequivocabili, tali azioni prevedibilmente esacerbano un ambiente di insicurezza e sfiducia”, ha affermato la rappresentante dell’ONU, aggiungendo che le azioni unilaterali sono “motivo di grande preoccupazione”.

Ziadeh ha espresso serie preoccupazioni per i recenti incidenti. Giovedì è stato impedito l’ingresso in Kosovo di un camion per il trasporto di contanti dalla Serbia, mentre circa quattro milioni di dinari confiscati dalla polizia kosovara il 3 febbraio nel comune di Pejë/Peć attendono ancora un’azione giudiziaria e amministrativa, ha detto l’inviata dell’ONU.
Negli ultimi anni sono scoppiate periodicamente tensioni tra le autorità del Kosovo e della Serbia, comprese divergenze sulle targhe dei veicoli e operazioni anti-contrabbando, oltre a ondate di violenza. “Né il nuovo regolamento della Banca Centrale del Kosovo, né queste recenti operazioni di polizia del Kosovo, hanno contribuito alla riduzione della tensione, come ripetutamente richiesto dagli interlocutori internazionali”, ha affermato Ziadeh.
Il Kosovo e la Serbia sono coinvolti da più di un decennio nei colloqui guidati dall’Unione Europea con l’obiettivo di normalizzare le relazioni, ma i negoziati si sono bloccati lo scorso settembre a seguito di una sparatoria tra serbi e la polizia kosovara che ha provocato la morte di quattro persone.
Il presidente serbo Vucic, nel suo intervento ha denunciato l’estrema precarietà della situazione in Kosovo, dove a suo dire la locale popolazione serba viene quotidianamente oppressa e perseguitata dalle misure ostili e discriminatorie del governo di Kurti. Ultima quella relativa alla messa al bando del dinaro. Una situazione quella del Kosovo, ha osservato Vucic, che è in aperta violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e della risoluzione 1244 adottata dal Consiglio di sicurezza alla fine della guerra nel 1999 e che è ancora in vigore. In base a tale risoluzione, ha ricordato il presidente, il Kosovo è parte integrante della Serbia, un territorio posto sotto amministrazione internazionale. Il dinaro, ha affermato Vucic, è la valuta e il mezzo di pagamento legale in circolazione in Serbia, e per questo non può essere vietato in Kosovo, un territorio che fa parte della Serbia. L’euro al contrario, ha aggiunto, è stato introdotto in Kosovo illegalmente con una decisione unilaterale della dirigenza di Pristina. Cosa questa, per Vucic, confermata dalle informazioni ufficiali di Ue e Bce secondo cui il Kosovo utilizza l’euro dal 2002 quale propria valuta de facto. Secondo il presidente serbo, la messa al bando del dinaro è una “decisione pericolosa” che mette a rischio la sopravvivenza di decine di migliaia di serbi del Kosovo che ricevono direttamente dall’amministrazione serba a Belgrado salari, pensioni e sussidi. E minaccia la formazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo, un punto cruciale previsto dall’importante accordo del dialogo fra Belgrado e Pristina del 2013.

Il premier kosovaro Kurti, nel suo intervento, ha detto che le restrizioni sul dinaro serbo e l’affermazione dell’euro quale unica valuta in circolazione in Kosovo “non impedisce in nessun modo” alla dirigenza di Belgrado di continuare a sostenere i serbi del Kosovo. Le ultime misure della Banca centrale del Kosovo, ha aggiunto, sono state adottate per consentire la piena trasparenza delle finanze pubbliche. “Faremo di tutto per consentire che i serbi del Kosovo continuino a ricevere gli aiuti dalla Serbia. Siamo impegnati a trovare il modo migliore affinchè tali transazioni proseguano”, ha affermato il premier. In riferimento alle accuse di persecuzione e spopolamento dei serbi costretti ad andar via, il premier ha detto di ritenere che l’emigrazione dei serbi del Kosovo sia da collegare con la “ricerca di migliori condizioni economiche”, a cominciare dai paesi dell’Europa occidentale, e non con una “presunta pulizia etnica”, come sostenuto da Belgrado.
Successivamente, Vucic ha richiesto la parola per replicare al premier Kurti, che aveva accusato la Serbia di contrabbando e di essere la longa manus della Russia nei Balcani: “Quale orgoglioso presidente della Serbia” ha detto Vucic, “vi dico che la Serbia è un Paese indipendente, sovrano e libero, non siamo marionette di nessuno, né degli Usa né della Russia né di un qualche altro stato al mondo, e così sarà in futuro”, ringraziando poi i 109 Paesi delle Nazioni Unite “che non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo e che si attengono al diritto internazionale e alla Carta e alle risoluzione delle Nazioni Unite”.
Il premier Kurti ha a sua volta replicato che il suo governo mira alla costruzione in Kosovo di una società multietnica basata sulla democrazia e lo stato di diritto, e “condivide i frutti del progresso con i rappresentanti delle minoranze” presenti nel Paese. Kurti ha quindi invitato Vucic, a firmare un accordo con Pristina, per mostrare con un atto simbolico “l’impegno a rapporti di buon vicinato”.
Se la riunione richiesta dalla Serbia doveva avere lo scopo di mettere all’angolo delle critiche del Consiglio di Sicurezza certe azioni unilaterali e “affrettate” del governo kosovaro di Kurti, la missione è sicuramente riuscita. Infatti persino gli Stati Uniti (da un quarto di secolo il grande protettore del Kosovo), non hanno risparmiato le critiche al premier kosovaro presente in aula. Nel suo intervento l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield ha detto: “Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per il piano del Kosovo volto a far rispettare i regolamenti modificati della Banca Centrale del Kosovo sulle transazioni in contanti. La decisione è stata adottata senza un’adeguata preparazione o consultazione della popolazione locale”. E poi Thomas-Greenfield ha rincarato la dose: “Chiediamo quindi ancora una volta che l’attuazione di questo piano venga immediatamente rinviata fino a quando non saranno adottate procedure soddisfacenti in linea con gli standard e le pratiche europee di buona condotta”. L’ambasciatrice americana, ha ribadito che gli USA sono “profondamente preoccupati per le recenti azioni non coordinate intraprese dal governo del Kosovo, comprese le operazioni di contrasto presso gli uffici dell’organizzazione sostenuta dalla Serbia…. Queste azioni non sono coerenti con l’impegno del Kosovo a lavorare attraverso il dialogo facilitato dall’UE per affrontare le questioni che influiscono sul benessere della comunità della minoranza serba. E minano il percorso verso la normalizzazione tra Kosovo e Serbia”. Thomas-Grenfield ha ricordato, ancora una volta, che comunque “il Consiglio di Sicurezza non è la sede per risolvere questi problemi: ribadiamo il nostro appello affinché entrambe le parti si impegnino attraverso il dialogo facilitato dall’UE”.