“Fai agli altri quello che vorresti sia fatto a te”. Questa frase biblica conosciuta come la “Golden Rule”, la regola d’oro, è scolpita in un’opera d’arte regalata alle Nazioni Unite. Ben in vista dentro al Palazzo di Vetro, l’opera di Norman Rockwell donata dagli Stati Uniti è un mosaico creato con il vetro di Murano. L’artista americano mette anche il suo ritratto tra quelli rappresentanti i popoli del mondo, che nei loro abiti e copricapi mostrano la cultura, la religione e l’etnia di appartenenza.
Oggi, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja (ICJ) ha emesso il suo primo giudizio su Israele e il crimine di genocidio a Gaza, dando in parte ragione alla denuncia inoltrata dal Sudafrica. Israele aveva chiesto alla Corte di respingere le accuse del Sudafrica, ma i giudici – con a capo la presidente Joan Donoghue, una togata degli Stati Uniti – hanno deciso diversamente.

La Corte di Giustizia Internazionale ha infatti ordinato di evitare azioni che possano far violare la Convenzione sul Genocidio, approvata nel 1948 e ratificata da 153 Stati, fra cui proprio Israele. Il trattato in questione è la Convenzione per la Prevenzione e la sanzione del crimine di genocidio, in cui quest’ultimo viene definito con “gli atti perpetrati con l’intenzione di distruggere, in modo totale o parziale, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
L’ICJ non ha deciso venerdì che sia provato che Israele abbia o stia commettendo un genocidio: questo verdetto ancora non c’è. In questa prima fase, la ICJ doveva valutare se esistessero basi plausibili per le misure preliminari richieste dal Sudafrica per proteggere i diritti dei palestinesi ai sensi del diritto internazionale sul genocidio. In altre parole, se l’accusa che Israele stia commettendo un genocidio avesse elementi talmente plausibili che, come richiesto dal Sudafrica, si dovesse subito ordinare a Israele di interrompere i metodi della sua campagna militare.
La Corte, infatti, non ha ordinato il cessate il fuoco (come chiedeva il Sudafrica), ma ha imposto a Israele di fermare gli atti che fanno sospettare l’intenzione di commettere un genocidio.
Sulla base delle uccisioni di massa (già oltre 26 mila palestinesi, di cui almeno un terzo bambini e con il calcolo in difetto perché almeno 10mila scomparsi si pensa siano sotto le macerie) e delle sofferenze tra gli abitanti di Gaza, oltre che del linguaggio disumanizzante utilizzato dai funzionari israeliani contro i civili palestinesi, la Corte ha stabilito la validità della denuncia del Sudafrica per procedere con alcune misure preliminari. Per questo si afferma che “la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza corre il serio rischio di peggiorare ulteriormente prima che la Corte emetta la sua sentenza definitiva”, che potrebbe richiedere mesi se non anni.
Per la Corte, le cui decisioni nel linguaggio legale ONU sono “binding” (vincolanti), Israele deve intraprendere una serie di azioni necessarie per impedire il genocidio, garantendo “con effetto immediato” che le sue forze non violino le disposizioni della Convenzione sul Genocidio che vietano di uccidere o infliggere gravi danni ai palestinesi come gruppo distinto. La Corte ordina a Israele di far entrare più aiuti a Gaza (ma senza il cessate il fuoco, come faranno gli operatori umanitari a raggiungere chi ha bisogno?) e di presentare entro un mese un rapporto sulle azioni intraprese in risposta alla sentenza.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito le accuse di genocidio come “oltraggiose” e ha promesso di proseguire la guerra. “Continueremo a fare ciò che è necessario per difendere il nostro Paese e il nostro popolo”, ha detto il capo del Governo. Prevedibile da parte sua, ma ora che farà il popolo israeliano?
Proprio nello stesso giorno della sentenza dell’Aja, all’Assemblea Generale dell’ONU si è svolta la cerimonia di ricordo dei crimini dell’Olocausto (che cade ogni 27 gennaio). “Oggi più di tutti i giorni – ha sottolineato Guterres – dobbiamo ricordare che la demonizzazione dell’altro e il disprezzo della diversità sono un pericolo per tutti. Nessuna società è immune dall’intolleranza, ma il fanatismo contro un gruppo è fanatismo contro tutti”.
Nella stessa cerimonia, l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan ha affermato che l’attacco contro Israele del 7 ottobre da parte di Hamas è stato “un tentativo di genocidio”. “Noi, il popolo ebraico, comprendiamo il significato del genocidio più di chiunque altro”, ha detto Erdan. “Siamo perseguitati da millenni. Hitler ha impresso il significato del genocidio nel nostro DNA”. Il 7 ottobre Hamas “ha riaperto quella ferita”, ha continuato Erdan accarezzando una stella gialla appuntata sulla giacca. “Nella Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto… sono qui in nome dello Stato di Israele e di tutti coloro che sono stati assassinati dai nazisti e da Hamas. Giuro che non dimenticheremo”.
Al briefing, il portavoce dell’Onu ha letto la reazione di Guterres alla decisione della Corte dell’Aja, dove si dice che il Segretario Generale “ha preso nota della decisione”. Alla domanda se anche per Guterres la “regola d’oro” oggi sia il monito lanciato dalla Corte dell’Aja, il portavoce Stephane Dujarric taglia corto: “Ciò che è stato deciso oggi (a l’Aja) è stato deciso in base ai fatti presentati sia da Israele che dal Sudafrica”.
Il genocidio è il peggior crimine umano che si possa commettere, elimina fisicamente la vittima, ma distrugge moralmente senza appello chi lo commette, come fu con il nazismo. A Netanyahu ormai preme solo la sua sopravvivenza al potere? Gli israeliani e la loro democrazia rimarrebbero schiacciati per sempre dalla responsabilità del crimine del genocidio. La decisione della Corte dell’Aja deve dare lo slancio al popolo d’Israele per sbarazzarsi di chi è al potere, prima che sia troppo tardi.