Sono passate più di dieci settimane dagli attacchi terroristici di Hamas in Israele che hanno fatto precipitare il conflitto israelo-palestinese in una fase senza precedenti di violenza. Ieri al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono continuati i negoziati diplomatici per trovare consenso su un’ulteriore azione unitaria in risposta alla crisi di Gaza, ma la fumata è stata ancora nera.
Si attende dunque oggi il voto del progetto di risoluzione presentato dagli Emirati Arabi Uniti, in cui si esprime “profonda preoccupazione per la situazione umanitaria terribile e in rapido deterioramento” nell’enclave e il suo “grave impatto” sui civili.
Chiedendo “un accesso umanitario completo, rapido, sicuro e senza ostacoli all’interno e in tutta la Striscia di Gaza”. L’incontro, inizialmente previsto per lunedì pomeriggio, era stato rinviato per dare ai membri del Consiglio più tempo per negoziare nel linguaggio della risoluzione. Ma anche martedì la votazione ha subito diversi rinvii, e alla fine il voto è stato spostato a mercoledì per permettere altre trattative nella notte tra i Quindici.
Alcuni dei cambiamenti seguiti alle discussioni includono la richiesta di “passi urgenti verso la sospensione delle ostilità” – un cambiamento cruciale, richiesto dagli Stati Uniti, rispetto alla bozza degli UAE di lunedì che chiedeva la “cessazione delle ostilità”. Il progetto di risoluzione prende inoltre atto della riapertura del valico di Karem Abu Salem o Kerem Shalom da Israele per accelerare la consegna degli aiuti, sottolineando la necessità di “ampliare la consegna e la distribuzione”. Inoltre “chiede” il “rilascio immediato e incondizionato” di tutti gli ostaggi, oltre a garantire l’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche.
L’incontro fa seguito a una risoluzione adottata con una stragrande maggioranza di 153 Stati membri a favore e 10 contrari, con 23 astenuti durante l’Assemblea generale, che si è riunita martedì scorso in una sessione speciale di emergenza. In esso, l’Assemblea ha ribadito “immediato cessate il fuoco umanitario”, il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi e “garantire l’accesso umanitario”. La risoluzione dell’Assemblea Generale era stata formulata in modo simile come un progetto di risoluzione presentata dagli UAE e su cui gli Stati Uniti avevano posto il veto al Consiglio di Sicurezza l’8 dicembre.
L’incontro dei Quindici su Gaza è iniziato dopo la riunione del Consiglio di Sicurezza sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove è stata approvata ad unanimità una risoluzione per il ritiro della missione Onu MONUSCO.
Il primo ad intervenire martedì è stato l’inviato speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, che ha sottolineato che, mentre infuria la guerra tra Israele e Hamas a Gaza, “il 2023 si conclude come uno dei periodi più sanguinosi nella storia di questo conflitto, con la situazione che si deteriora su quasi tutti i fronti”. Wennesland, via video da Gerusalemme, ha inoltre attirato l’attenzione sulla terribile situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.
“La fornitura di aiuti umanitari nella Striscia continua ad affrontare sfide quasi insormontabili. Tra sfollamenti su scala inimmaginabile e ostilità attive, il sistema di risposta umanitaria è sull’orlo del baratro”, ha affermato. Wennesland ha espresso anche la “profonda preoccupazione” per l’escalation delle tensioni nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est, notando che “gli scambi armati intensificati” tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane, prevalentemente nel contesto delle operazioni israeliane, hanno portato a livelli estremamente elevati di vittime e arresti.
“Ribadisco che le forze di sicurezza devono esercitare la massima moderazione e usare la forza letale solo quando è strettamente inevitabile per proteggere la vita”, ha sottolineato. Wennesland ha espresso preoccupazione per gli attacchi compiuti dai coloni israeliani contro i palestinesi e dai palestinesi contro gli israeliani nella Cisgiordania occupata e in Israele. “Tutti gli autori di violenza devono essere ritenuti responsabili e consegnati rapidamente alla giustizia”, ha affermato.
Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite si è detto sconvolto dai numerosi casi di funzionari che glorificano la violenza e incoraggiano l’uccisione di civili. “Tale retorica è ripugnante e deve essere chiaramente respinta dai leader di tutte le parti. I leader hanno l’obbligo di condannare in modo chiaro ed esplicito gli atti di terrore e di violenza diretti contro i civili”, ha affermato.
Con quello di Wennesland era previsto anche l’intervento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la supervisione della tregua (UNTSO), originariamente istituita nel 1948. Il Maggiore Generale Patrick Gauchat, capo dell’UNTSO, ha preso la parola per dire ai membri del Consiglio che, poiché l’UNTSO non è presente a Gaza o nei dintorni o nel sud di Israele, il suo personale “non era in grado di osservare” direttamente gli eventi del 7 ottobre o gli sviluppi successivi. Tuttavia, questi eventi “hanno sicuramente avuto un impatto sulle nostre operazioni e sulle dinamiche regionali”, ha affermato Gauchat. “Sul piano operativo, dall’8 ottobre si sono verificate numerose violazioni del cessate il fuoco lungo la linea blu tra Israele e Libano e sul Golan tra Israele e Siria”, ha aggiunto.
Il 29 maggio 1948, il Consiglio di Sicurezza, nella risoluzione 50 (1948), chiese la cessazione delle ostilità in Palestina e decise che la tregua sarebbe stata supervisionata dal Mediatore delle Nazioni Unite, con l’assistenza di un gruppo di osservatori militari. Il primo gruppo di osservatori militari, che divenne noto come Organizzazione per la Supervisione della Tregua delle Nazioni Unite (UNTSO), fu la prima missione di mantenimento della pace istituita dalle Nazioni Unite. I suoi militari sono in Medio Oriente per monitorare i cessate il fuoco, supervisionare gli accordi di armistizio, prevenire l’escalation di incidenti isolati e assistere altre operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite nella regione.
L’ambasciatore degli Stati Uniti e vice rappresentante permanente, Robert Wood, quando ha preso la parola, ha ribadito che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre “devono essere condannati” e che non si deve permettere al gruppo estremista di controllare Gaza in futuro.
Wood ha detto che anche a Israele deve essere consentito di difendere il suo popolo e che gli attacchi del gruppo ribelle Houthi al largo delle coste dello Yemen contro le navi internazionali devono essere contrastati. Quindi tutti nel Consiglio devono lavorare per una soluzione a due Stati. Il diplomatico americano ha messo in guardia dal pericolo dell’aumento della retorica basata sull’odio “e dobbiamo fare di più per prevenire questa pericolosa disumanizzazione”.
Wood ha detto che la morte e il ferimento dei giornalisti in prima linea durante il conflitto di Gaza sono inaccettabili: “In questo momento bisogna fare di più per proteggerli”. Infine, ha detto che la sua missione ha incontrato israeliani i cui cari sono ancora tenuti prigionieri da Hamas e che continueranno a condividere la storia di ogni ostaggio, “fino al loro ritorno a casa”. “Dobbiamo lasciare spazio al dolore da tutte le parti”, ha aggiunto.
Mohamed Issa Abushahab, ambasciatore e vice rappresentante permanente degli Emirati Arabi Uniti (l’Ambasciatrice Lana Nusseibeh probabilmente conduceva ancora le trattative con gli USA fuori dal Consiglio), ha esordito sottolineando che con l’avvicinarsi della fine del 2023, è già stato l’anno più mortale nella storia dei territori palestinesi occupati. “Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme sul fatto che non si può permettere che l’attuale status quo continui, e questo inizia con l’attuale situazione a Gaza”, ha detto.
Il diplomatico degli UAE ha ricordato la visita della scorsa settimana di molti ambasciatori, membri del Consiglio di Sicurezza, al valico di frontiera di Rafah, sottolineando che hanno assistito a “un sistema umanitario al suo punto di rottura”. “Hanno visto migliaia di camion e magazzini pieni di aiuti da parte di persone e governi di tutto il mondo, l’espressione fisica della loro solidarietà con il popolo di Gaza”, ha detto.
“Nel frattempo, appena oltre il confine, 2,2 milioni di persone rimangono intrappolate e nove su dieci trascorrono l’intera giornata senza cibo. Gli abitanti di Gaza stanno sperimentando livelli di fame e sete senza precedenti, mentre ai medici mancano anche le forniture mediche più basilari per curare i feriti e la crescente minaccia di infezioni – ciò di cui abbiamo bisogno è l’accesso”, ha aggiunto Issa Abushahab. Ha osservato che la risoluzione – la cui votazione era prevista per oggi ma alla fine della giornata è stata ulteriormente ritardata a mercoledì – mira a soddisfare questa esigenza richiedendo l’utilizzo di tutte le rotte terrestri, marittime e aeree per consentire l’ingresso degli aiuti. “Israele deve smettere di bloccare l’ingresso degli aiuti e consentire l’assistenza salvavita nella Striscia di Gaza”, ha aggiunto Issa Abushahab, sottolineando l’apertura del valico di frontiera a Karam Abu Salem. “Chiediamo alle autorità di garantire la sua piena apertura, anche ai carichi commerciali, in modo che gli aiuti possano entrare su larga scala”, ha concluso l’Ambasciatore degli Emirati.