“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Esordisce così la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sottoscritta esattamente 75 anni fa a Parigi dai 48 Stati membri delle (neo-nate) Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948.
Un documento nato sulle macerie – e sul trauma – delle nefandezze compiute dalla Seconda Guerra Mondiale, marcatamente nei campi di concentramento nazisti, per sancire il valore giuridico universale della dignità umana.
Più di 50 Stati membri parteciparono alla stesura finale del documento, che venne approvato senza voti contrari – sebbene otto Paesi si astennero dal votare (Arabia Saudita, Bielorussia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Sudafrica, Ucraina, Unione Sovietica).
Alla Dichiarazione è generalmente riconosciuto il merito di aver ispirato e posto le basi per l’approvazione di oltre settanta trattati sui diritti umani che vengono costantemente applicati sia a livello mondiale che regionale. Inoltre, il documento del 1948 ha stabilito per la prima volta la cogenza universale dei diritti umani fondamentali, a prescindere dalle giurisdizioni nazionali.
Nel celebrare il 75esimo anniversario della Dichiarazione, l’ONU sottolinea che esso “sancisce i diritti inalienabili che spettano a ogni persona in quanto essere umano, indipendentemente da razza, colore, religione, sesso, lingua, opinione politica o di altro tipo, origine nazionale o sociale, proprietà, nascita o altro status.” In virtù del fatto che è stata tradotta in oltre 500 lingue, è inoltre il documento più tradotto al mondo.
“Ogni volta e ovunque i valori dell’umanità vengano abbandonati, siamo tutti più a rischio”, si legge sul sito Web dedicato alla commemorazione. “Dobbiamo difendere i nostri diritti e quelli degli altri (…) e dobbiamo rinnovare il contratto sociale tra i governi e i loro popoli e all’interno delle società, in modo da ricostruire la fiducia e abbracciare una visione condivisa e globale dei diritti umani sulla strada di uno sviluppo giusto e sostenibile”.