L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM, OIM in italiano) delle Nazioni Unite e altri partner umanitari sono mobilitati per fornire aiuti fondamentali ai valichi di frontiera tra Pakistan e Afghanistan a fronte della crisi per l’ondata di rimpatri forzati di cittadini afghani.
Secondo l’OIM, solo negli ultimi due mesi, quasi 375.000 afghani hanno dovuto lasciare il Pakistan, utilizzando principalmente i valichi di frontiera di Torkham e Spin Boldak, rispettivamente vicino a Kabul e Kandahar. Il numero di valichi di frontiera è salito alle stelle, da 200 a 17.000 al giorno, creando una pressione senza precedenti sulle risorse e sulle infrastrutture.
“La loro situazione è disperata; la maggior parte delle persone ci ha detto che sono state costrette a lasciare il Paese e a lasciare dietro di sé beni e risparmi”, ha affermato Maria Moita, capo missione dell’OIM in Afghanistan. “Le persone che arrivano in Afghanistan sono estremamente vulnerabili e necessitano di sostegno immediato alla frontiera e a lungo termine nelle aree di ritorno”, ha aggiunto.
La crisi si è sviluppata in seguito all’attuazione da parte del Pakistan del “Piano di rimpatrio degli stranieri illegali”, che fissava la scadenza del 1° novembre per il “ritorno volontario” di tutti gli afghani privi di documenti presenti in Pakistan nel loro paese d’origine.
The unprecedented and increasing number of daily forced returns from Pakistan to Afghanistan has overwhelmed border crossings and stretched already limited resources.
Forced return of Afghan nationals must be suspended.
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— IOM – UN Migration 🇺🇳 (@UNmigration) November 21, 2023
Gli aiuti essenziali, che comprendono alloggi, acqua, servizi igienico-sanitari, articoli domestici essenziali, assistenza sanitaria, protezione, servizi nutrizionali e assistenza in denaro per bisogni di base, trasporti e cibo, vengono forniti da un consorzio di frontiera guidato sempre dall’OIM, di cui da ottobre ha preso le redine della direzione l’americana Amy Pope.
Tuttavia, l’aumento dei rimpatri forzati ha reso necessaria la creazione di centri di accoglienza più grandi per fornire assistenza agli afgani rimpatriati prima che si rechino verso le aree di rimpatrio previste.
“Si tratta di una crisi umanitaria significativa e sono urgentemente necessari fondi per continuare a fornire assistenza immediata dopo l’arrivo e garantire un ritorno sicuro e dignitoso”, ha affermato Moita.
Con l’evolversi della crisi, il consorzio di frontiera ha lanciato un primo appello per ricevere sostegno, anticipando la necessità di una revisione e di risorse aggiuntive. La situazione è particolarmente difficile per le donne e le ragazze in Afghanistan e, con l’avvicinarsi dell’inverno, la necessità di sostegno internazionale è ancora più urgente.
Dopo decenni di conflitto, instabilità e crisi economica, secondo l’OIM, l’Afghanistan farà fatica ad assorbire l’elevato numero di famiglie che ritornano, molte delle quali non vivono nel paese da decenni (e per qualcuna non ci ha mai vissuto).
“Con oltre sei milioni di persone già sfollate all’interno del Paese, gli afghani che ritornano dal Pakistan si trovano ad affrontare un futuro precario e incerto”, ha affermato l’agenzia dell’ONU. L’Afghanistan ha attualmente il terzo maggior numero di sfollati interni a livello globale.