Mentre a Gaza si muore – e già sarebbero più di diecimila le vittime – per l’esplosione delle bombe, al Palazzo di Vetro dell’ONU si continua a dichiarare guerra sulle parole, tra chi pretende il “cessate il fuoco”, chi preferisce la “tregua”, a chi basta la “pausa umanitaria”. Così mentre i bambini continuano a essere dilaniati dalle esplosioni che a Gaza distruggono anche le scuole dove sventola la bandiera celeste dell’Onu, a New York i diplomatici dei Quindici paesi riuniscono il Consiglio di Sicurezza per una riunione a porte tenute chiuse dalla troppa vergogna. Quando dopo quasi tre ore escono con i giornalisti lasciati in attesa, eccoli annunciare l’ennesima fumata nera: non c’è accordo sulla risoluzione.

Quanto siano in difficoltà ad ammettere il loro fallimento umano prima ancora che diplomatico, visibile persino nei loro movimenti, basta osservare l’ambasciatore degli USA Robert Wood (vice di Thomas-Greenfield che non ha partecipato) che platealmente si rifiuta di andare a parlare dal podio dello stake-out, dove la telecamera lo può riprendere in primo piano. Con un certo imbarazzo risponde alle domande dei giornalisti dove invece lo si può inquadrare di traverso. “Non c’è accordo a questo punto su una risoluzione” dice Wood, aggiungendo che “abbiamo parlato di pause umanitarie e siamo interessati a trovare un linguaggio di questo tipo ma c’è disaccordo nel Consiglio di Sicurezza se questo è accettabile”. Cioè, noi ci prendiamo il lusso di bisticciare sulle parole, mentre i civili crepano.
Prima di lui era arrivato l’ambasciatore francese all’Onu Nicolas de Riviere, che parlando in inglese troppo veloce e con un forte accento rendeva difficile la comprensione delle frasi, come se avesse fretta di tagliare la corda: “Vista la gravità della situazione umanitaria chiediamo un’immediata tregua umanitaria che deve portare ad un cessate il fuoco, all’accesso degli aiuti”, dice de Riviere che aggiunge: “Vista l’urgenza, la Francia organizza una conferenza umanitaria a Parigi per la gente di Gaza il 9 novembre” e poi sottolinea che “Israele ha il diritto di difendersi rispettando le leggi umanitarie. Dobbiamo proteggere i civili e per questo serve una tregua umanitaria, pause umanitarie come volete chiamarle e deve succedere ora”.
De Riviere parla anche dei morti civili a Gaza, dice che sono “several thousands”, (molte migliaia ma sembra che dica seven, sette), cioè non riesce a dire la cifra che l’ONU ha annunciato proprio oggi, cioè che i morti hanno oltrepassato la cifra di diecimila e ben oltre 4000 sarebbero bambini. Ma chi le da le cifre? Sarebbero le autorità di Hamas che annunciano oltre 10.000 morti nella Striscia, “tra cui 4.104 minori”, ma l’ONU queste cifre le conferma, ma al Consiglio di Sicurezza si capisce che c’è baruffa anche su questo, sulla conta dei morti.

Quando arriva allo stake out l’ambasciatore cinese, Zhang Jun, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, con accanto l’ ambasciatrice degli Emirati Lana Zaki Nusseibeh, che aveva chiesto la riunione, la musica cambia. Il tono invece che imbarazzato si fa accusatorio: “Serve un cessate il fuoco umanitario urgente a Gaza. Il Consiglio di Sicurezza deve agire”, dice Zhang Jun, che dice che i morti “sono più di diecimila” e poi utilizza frasi riprese dal discorso pronunciato questa mattina dal Segretario Generale Antonio Guterres, come a Gaza non ha più una crisi umanitaria ma “una crisi dell’umanità” e la striscia è ormai diventata “un cimitero di bambini”. Nusseibeh mette in chiaro che l’incontro è stato chiesto “per esprimere grave preoccupazione per i continui attacchi di Israele su campi profughi, scuole, ospedali, strutture Onu e altre strutture civili a Gaza”, e poi a chi gli chiede come mai non hanno ancora presentato la cosiddetta “Resolution of the Ten”, cioè quella risoluzione che doveva essere presentata la scorsa settimana dai dieci paesi eletti al Consiglio lavorando sulla bozza di quella del Brasile (che era stata bocciata col solo veto degli USA). Sconsolata Nusseibeh ha dovuto ammettere che anche tra i dieci non permanenti le discussioni continuano sulla bozza di risoluzione e per “cercare di ridurre le differenze tra i membri del Consiglio”.
Già prima della riunione dei Quindici, all’entrata era stato l’ambasciatore del Gabon, l’affabile Michel Xavier Biang, unico ad avvicinare i giornalisti, a rivelare che su dieci, c’erano ancora 3 paesi in disaccordo sul linguaggio “del cessate il fuoco”. Chi sono i paesi? “Non posso dirlo” risponde. Il sospetto cade subito su quelli che siano più influenzabili dalle pressioni dagli USA, quindi tre tra Albania, Malta, Giappone, Ecuador? L’ambasciatore africano sorride e se ne va, mantenendo il suo segreto.
Intanto la “guerra delle parole” fa tremare non solo il Palazzo di Vetro, ma viaggia e ritorna da Israele come un boomerang alla velocità della luce. Quando Guterres nel discorso di stamane pronuncia davanti ai giornalisti la frase “Gaza sta diventando un cimitero di bambini”, le parole del segretario generale dell’Onu provocano una ennesima reazione da parte del governo di Netanyhau che ne aveva già chiesto le dimissioni due settimane fa. “Vergognati”, lo ha rimproverato lunedì con un post su X il ministro degli Esteri dello Stato ebraico Eli Cohen. “Più di 30 minori, tra cui un neonato di 9 mesi, ma anche bimbi e ragazzini che hanno assistito alle uccisioni a sangue freddo dei loro genitori, sono trattenuti nella Striscia contro il loro volere. È Hamas il problema a Gaza – ha continuato Cohen – non le azioni di Israele per eliminare quest’organizzazione terroristica”.
Shame on you @antonioguterres! More than 30 minors – among them a 9 month-old baby as well as toddlers and children who witnessed their parents being murdered in cold blood – are being held against their will in the Gaza Strip.
Hamas is the problem in Gaza, not Israel’s actions…— אלי כהן | Eli Cohen (@elicoh1) November 6, 2023
All’ONU si continua con la guerra delle parole, che innervosisce molti ma non ammazza nessuno tra i diplomatici che le analizzano per i loro governi così un giorno, magari non troppo lontano, decidere quando far votare una risoluzione che indichi “tregua”, “pausa” o “cessate il fuoco”.
10,000 people have reportedly been killed since 7 October, according to #Gaza‘s Ministry of Health.⁰
10,000 people in one month.⁰
This defies humanity.— Martin Griffiths (@UNReliefChief) November 6, 2023
Intanto a Gaza donne e bambini possono continuare a morire “a migliaia”. Ma quanti ne muoiono? Molte migliaia, dicono i francesi. Non si sa esattamente, secondo gli americani. Oltre diecimila dicono i cinesi. Ma saranno molti di più secondo gli Emirati. Già al Consiglio di Sicurezza dell’ONU oltre a quella delle parole, lunedì può scoppiare anche la guerra delle cifre, tanto a New York non ammazzerà nessuno.