L’Onu appare sempre più in crisi; mentre è in corso di svolgimento l’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York sono tanti i segnali che indicano la cattiva salute di questa organizzazione nata alla fine del secondo conflitto mondiale, al grido di “mai più la guerra”. Di conflitti ahinoi ce ne sono stati e ce ne sono tanti, e l’Onu adesso si trova di fronte a un mondo sempre più frammentato e ingestibile.
A questa Assemblea generale mancano all’appello nomi importanti, inclusi ben quattro leader dei cinque paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza – l’unico presente è il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden che oggi ha assistito al discorso di Volodymyr Zelensky. Non c’è naturalmente Vladimir Putin, il presidente russo colpito da un mandato di cattura internazionale dopo l’invasione dell’Ucraina; al suo posto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Il presidente ucraino ha chiesto l’espulsione della Russia dal Consiglio e ha detto che l’Onu non fa abbastanza per fermare l’aggressione a Kiev; Lavrov non c’era, aveva lasciato l’aula; e quando ha parlato lui, era uscito Zelensky.
Non c’è Xi Jinping, il presidente cinese che sottolinea così il suo distacco da quello che considera un sistema dominato dall’Occidente. Non ci sono però neanche i leader di Francia e Gran Bretagna. Il presidente francese Emmanuel Macron è rimasto in patria, a ricevere le visite del re Carlo III d’Inghilterra e poi di papa Francesco che sarà a Marsiglia nel weekend. Già a fine agosto anche il primo ministro britannico Rishi Sunak aveva annunciato che non avrebbe guidato la delegazione di Londra, primo capo del governo a mancare l’appuntamento in dieci anni.

In questo contesto si inquadra la decisione di Giorgia Meloni di non partecipare al Consiglio, sebbene l’Italia sia ora membro non permanente, e di mandare invece il ministro degli Esteri Antonio Tajani. La premier italiana ha scelto di partecipare a un giro di incontri con i paesi africani; sarebbe più importante per il suo cruccio numero uno, la gestione dell’immigrazione. Ma si può anche leggere così: Meloni si è defilata per evitare di apparire platealmente in prima persona contro Lavrov o a favore di Zelensky, e per segnalare, anche lei, un certo distacco dalle Nazioni Unite come consesso mediatore.
Si parla ormai da decenni di riforma dell’Onu e soprattutto del Consiglio di Sicurezza, l’organo decisionale che rispecchia equilibri vecchi di settant’anni, poiché rappresentava allora i vincitori del conflitto; un organismo oggi drammaticamente insufficiente, e non solo perché uno dei cinque con diritto di veto – la Russia – è in aperto contrasto con i principi onusiani. La struttura stessa – cinque membri permanenti, altri dieci a rotazione – è goffa e per sua natura sarebbe ormai incapace di rappresentare tutti i paesi membri, anche se Mosca non avesse invaso l’Ucraina.
Questa guerra del resto è stato solo l’ultimo colpo in termini di tempo al multilateralismo, dopo una serie di decisioni prese unilateralmente: per citarne solo due, l’invasione dell’Iraq gestita da Stati Uniti e Gran Bretagna (cioè da George W. Bush e da Tony Blair; era il 2003, e Colin Powell aveva agitato la celebre provetta al Consiglio di Sicurezza per provare che Saddam Hussein avrebbe avuto armi di distruzione di massa) e i bombardamenti francesi della Libia nel 2011 per rovesciare Gheddafi (decisi da Nicolas Sarkozy e annunciati agli alleati in un vertice Nato quando gli aerei erano già in volo).
Paesi come India e Brasile sono stanchi di essere ai margini; la Germania non vede perché dovrebbe gestire le strategie mondiali lasciando diritto di veto a due alleati europei; d’altronde l’Unione Europea non ha la forza politica per chiedere un seggio unico, e la Francia non intende rinunciare al suo posto privilegiato. In un consesso, però, che non vale più molto.
Molti grandi paesi cercano altrove i loro equilibri: nel BRICS, raggruppamento delle economie mondiali emergenti formato con l’aggiunta del Sudafrica nel 2010 al precedente BRIC (Brasile, Russia, India e Cina); o nel Gruppo dei 77 o G77, organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 paesi del mondo, principalmente in via di sviluppo (l’ultimo recentissimo summit si è tenuto a Cuba).
Le grandi agenzie dell’Onu contro la fame e per i rifugiati continuano ad agire in tutto il mondo anche con indubbia efficacia per quanto concerne gli aiuti umanitari e l’Onu fa moltissimo in campo sanitario (basti ricordare l’azione dell’OMS nella vaccinazione globale, non solo anti Covid, o il programma UNAIDS contro l’HIV in Africa che ha già salvato 25 milioni di vite). Ma di fronte all’Assemblea che quest’anno deve parlare di pace, crisi del clima, crisi delle migrazioni, tutte le emergenze che il segretario generale Antonio Guterres continua disperatamente a ricordare – appare chiaro che siamo di fronte a una profonda crisi, e che molte decisioni non si prendono più al Palazzo di Vetro.