Al Palazzo di Vetro dell’ONU giovedì la scena del teatro della politica internazionale era tutta per Karim Khan, il pubblico ministero di nazionalità britannica star della Corte penale internazionale (ICC) che a marzo ha fatto tremare mezzo mondo ottenendo un mandato di arresto per il presidente russo Vladimir Putin e la “commissaria” del Cremlino Maria Alekseyevna Lvova-Belova. L’accusa: aver deportato migliaia di bambini ucraini in Russia.
Khan era venuto dall’Aja a New York per fare il punto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulle indagini per i crimini commessi contro l’umanità in Libia ma rispetto agli interventi precedenti, di colpo la sua “statura” nel ring Onu diventava da “peso massimo”.
Quello contro Putin non è il primo mandato di cattura che la ICC spicca contro un capo di stato – i due predecessori di Kahn lo avevano ottenuto nei confronti del sudanese Bashir (ancora latitante) e il liberiano Taylor (processato e condannato, mentre il serbo Milosevic, quando non era più presidente, fu consegnato da Belgrado all’Aja ma per essere processato non dall’ICC ma da un tribunale speciale istituito dall’ONU per i crimini nella ex Jugoslavia) – , ma nessuno avrebbe potuto immaginare che Khan avrebbe avuto l’ardore di puntare l’obiettivo dell’ICC contro il capo di stato di una potenza nucleare, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, nel mezzo di una guerra.
Prima del mandato contro Putin, le aspettative verso l’ICC che i primi paesi aderenti avevano coltivato dopo la firma del trattato di Roma di oltre venti anni fa si erano con gli anni ridimensionate. Il fatto stesso che potenze come Russia, USA e Cina continuassero a non riconoscerne la giurisdizione, alleggeriva il peso della Corte nel diritto internazionale.
Eppure l’indagine sui crimini di guerra in Ucraina ha usufruito di circostanze favorevoli che hanno accelerato gli eventi: il governo ucraino, pur non facendo parte del trattato di Roma che istituì l’ICC, aveva già conferito alla Corte penale internazionale la giurisdizione per indagare sui crimini commessi dopo l’invasione russa della Crimea nel 2014. Dopo la seconda invasione dei russi nel febbraio 2022, il lavoro già stabilito dell’ufficio guidato da Khan, di colpo ha riacquistato peso ricevendo quella spinta di consensi (e fondi) necessari per districarsi in maniera più efficace e solerte.
Non tutti hanno applaudito all’incriminazione di Putin. Infatti anche se le possibilità che il capo del Cremlino possa ritrovarsi presto in una gabbia del tribunale dell’Aia sono quasi nulle (a meno di un colpo di stato a Mosca…) il mandato di cattura potrebbe porre enormi ostacoli a chi, come la Cina e persino Papa Francesco, sta cercando di arrivare ad una soluzione diplomatica della guerra in Ucraina.
Poi ci sono paesi, come il Sudafrica, che fanno parte del trattato di Roma e di colpo potrebbero ritrovarsi in grave imbarazzo: potrà Putin partecipare a Pretoria ad un vertice dei BRICS che si dovrebbero tenere quest’anno, senza che il governo sudafricano debba arrestarlo?
Lo stesso Khan non sembra credere che l’arresto di Putin durante un viaggio internazionale possa mai essere portato in atto. Durante un’intervista alla CNN, ha dichiarato: “Il nostro compito è quello di applicare la legge ai fatti in modo indipendente e imparziale, senza alcuna motivazione o agenda politica. Ora spetta agli altri decidere se sono disponibili o meno opportunità di arresto e, in tal caso, applicarle”.
#ICC Prosecutor #KarimAAKhanKC today delivered Report on #Libya Situation to the @UN Security Council.
Strong progress in Libya investigation based on Prosecutor’s new targeted, field-focused and dynamic approach.
Full remarks➡️https://t.co/JFbaTp5okD
Highlights of progress👇 pic.twitter.com/qZhxxGzvAl
— Int’l Criminal Court (@IntlCrimCourt) May 11, 2023
Intanto giovedì Kahn ha dichiarato al Consiglio di sicurezza che la Corte ha emesso quattro nuovi mandati di arresto segreti per crimini presumibilmente commessi in Libia dal 2011. “Posso annunciare oggi che quattro mandati sono stati emessi dai giudici indipendenti della Corte penale internazionale”, ha detto Khan presentando all’Onu il suo rapporto semestrale sulla Libia. Il procuratore internazionale ha aggiunto che il suo ufficio nelle ultime settimane aveva richiesto altri due mandati di arresto, ma i giudici non si sono ancora pronunciati su tali richieste. I mandati sono attualmente sotto sigillo, quindi non è chiaro chi sia preso di mira e per quali reati dal procuratore della Corte penale internazionale. Il pubblico ministero ha chiesto ai giudici di aprire i mandati e resta in attesa di una decisione.
La situazione in Libia è stata deferita alla Corte penale internazionale dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2011 e sul suo sito web la corte afferma che il fulcro dell’indagine sono presunti crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nel paese dal 15 febbraio 2011. “Se i rinvii di questo Consiglio devono essere confermati, è necessario che tutti si facciano avanti”, ha detto Khan. “Le partnership sono fondamentali per la giustizia”.

I “passi avanti tangibili” fatti in Libia dalle indagini andavano dal dialogo con le autorità libiche alla raccolta di oltre 500 elementi di prova, tra cui materiale video e audio, informazioni forensi e immagini satellitari. Il team dell’ICC Libia ha inoltre aumentato ulteriormente il suo impegno con le vittime e le organizzazioni della società civile.
Kahn ha dato il merito dei progressi nelle indagini all’utilizzo di tecnologia avanzata e un nuovo sistema di gestione delle prove che utilizza l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per accelerare le attività investigative e analitiche. “La tecnologia non è un ‘fuoco di paglia'”, ha detto Kahn. “La tecnologia sta aumentando il ritmo per fornire giustizia”.
Il suo ufficio si è impegnato a lavorare con l’ufficio del procuratore generale libico, il procuratore militare e il ministro della giustizia del governo riconosciuto a livello internazionale, per identificare i modi in cui ICC può ulteriormente sostenere e promuovere l’azione in Libia nel perseguimento della responsabilità per i crimini internazionali. Nelle prossime settimane, ha affermato Khan, il suo team collaborerà con le autorità libiche, anche per quanto riguarda l’eventuale creazione di un ufficio sul campo a Tripoli. “La speranza deve essere che le autorità libiche sostengano sempre di più il principio della giustizia interna”, ha affermato, impegnandosi a impegnarsi per promuovere la responsabilità.
Al centro della questione ci sono le vittime e i sopravvissuti, ha detto Kahn. Ricordando una visita in Libia, ha affermato che i suoi incontri con i sopravvissuti alla violenza hanno sintetizzato il motivo per cui il Consiglio di sicurezza ha fatto riferimento alla Corte penale internazionale. A Tarhunah, una città dove sono state scoperte fosse comuni, un uomo ha detto a Kahn di aver perso 15 membri della sua famiglia. Citando le parole di una donna che ha condiviso la sua storia di perdita dei propri cari, ”mi ha detto ‘le Nazioni Unite parlano bene, ma le nostre vite non contano per loro'”. E’ fondamentale per Kahn poter “guardare in faccia le vittime, come le vittime che ho visto a Tarhunah, e non vergognarci, ma sentire finalmente che stiamo facendo del nostro meglio per garantire il loro diritto alla giustizia e alla responsabilità”.
Mentre Kahn con trasporto parlava delle indagini che il suo team sta conducendo in Libia, ripeteva il concetto che la giustizia sarebbe arrivata con il costante appoggio del “mandante” di queste indagini: il Consiglio di Sicurezza stesso. Quasi un messaggio di “sottomissione” del suo tribunale al consenso delle Nazioni Unite senza il quale non arriverebbe mai a punire chi ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità.
Già, per quanto riguarda le indagini condotte da Kahn in Ucraina che hanno portato al mandato di cattura contro Putin, questa condizione di “consenso” non esiste e mai ci sarà fino a quando il “ricercato numero uno” resta lo zar della Russia.