Francesco Rocca è una “vecchia” conoscenza al Palazzo di Vetro dell’ONU. Negli ultimi dieci anni lo abbiamo visto spesso intervenire come presidente della Croce Rossa italiana, ma soprattutto come presidente della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, il network umanitario più grande del mondo (192 società nazionali con sede centrale a Ginevra). Rocca, classe 1965, da poche settimane è anche diventato il nuovo presidente della Regione Lazio, dopo aver vinto come candidato del centrodestra le elezioni dello scorso febbraio con il 53,88% dei consensi, con un impressionante distacco del 20% di voti dal candidato del PD Alessio D’Amato.
Il neo Presidente della Regione Lazio conosce bene La Voce di New York, ci ha rilasciato negli anni diverse interviste, ma questa volta per noi è come parlare con “due presidenti”. Rocca si è infatti dimesso dalla guida della Croce Rossa italiana, ma non dalla presidenza di Ginevra. Lui ci avverte subito che è qui per la UN Water Conference e vorrebbe parlare solo da presidente della International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies. Chiediamo che almeno una domanda sul suo nuovo lavoro ce la conceda.

Giovedì pomeriggio, attraversando i corridoi dell’ONU, lo raggiungiamo dal giardino delle rose per procedere con l’intervista. Rocca ci sembra un po’ stanco, un po’ cupo, non appare di buon umore come ci aveva abituati in passato. Così prima di iniziare l’intervista, per distrarlo un po’ da chissà quali pensieri, gli chiediamo se, dopo aver raggiunto la presidenza della sua regione, magari un giorno gli piacerebbe diventare presidente della Lazio, la gloriosa squadra romana biancoceleste di cui è tifoso. Di colpo il suo viso si illumina e Rocca, con un sorriso, replica: “Magari, mi piacerebbe tantissimo, sarebbe un sogno”.
UN Water Conference, l’hanno subito chiamata conferenza storica, perché era da quasi cinquant’anni che non avveniva all’ONU. Ma basta questo per essere ‘historic’?
“E’ storica nella misura in cui pensiamo alla tempistica. Cioè arriva nel momento in cui, vuoi per i cambiamenti climatici e per tutta una serie di aspetti che rappresentano le grandi sfide umanitarie e anche economiche-sociali del nostro mondo, diventa importante che ci sia questa conferenza in cui gli stati si misurano concretamente sulle azioni. Io sono abituato a misurare gli effetti e gli esiti a distanza di tempo. Le Nazioni Unite avvolte ti sorprendono, penso per esempio al World Humanitarian Summit di Istanbul. Vediamo quindi”.

Eppure in questa conferenza non c’è nessun “binding document”, un documento vincolante da firmare alla fine. Tanti bei discorsi, tante promesse, ma di impegni formali non ne vediamo. Aspetta e spera o si prevede già un buco nell’acqua?
“Questa conferenza è un primo passo e penso che sia importante che si sia fatta con un’ importante adesione. Certo è meglio quando ci sono documenti che impegnano gli stati, ma poi dobbiamo essere realisti, anche quando abbiamo parlato del Global Compact sull’immigrazione, erano tantissimi gli stati ma poi mancavano quelli più importanti. Lo stesso con la Corte Penale Internazionale… Quindi quando parliamo di ‘binding’ è sempre una misura relativa rispetto alla comunità internazionale. Vediamo invece quali saranno gli approcci concreti e anche in termini di consapevolezza. Lo stesso fatto che voi dei media ve ne state occupando, aumenta questa consapevolezza e la deflagrazione della notizia rispetto all’acqua può portare ad un risveglio delle coscienze. Noi occidentali diamo l’acqua per scontata quando invece in altri paesi del mondo questo non è un bene scontato. Io detesto questo esercizio retorico, però è vero. E’ vero che c’è gente che muore di sete, letteralmente. E’ vero che c’è gente che non ha accesso a quello che è un bene di sostentamento, perché l’agricoltura non ci può essere senza acqua e senza acqua non c’è vita”.
O magari troppa acqua, come accaduto in Pakistan…
“È il paradosso del cambiamento climatico”.
Tornando al suo lavoro nel campo umanitario con la Croce Rossa: sembra che il mondo debba avere proprio l’acqua alla gola per capire che non c’è più tempo per il Climate Change, come per tante altre crisi? Un rapporto di pochi giorni fa reso pubblico dal Segretario Generale Guterres, ha accorciato i tempi di irreversibilità dell’intervento, dopo il 2030 non ci sarà più nulla da fare…

“Non si potrà tornare indietro. Ma questo ormai, parlando di Climate Change, ce lo siamo detto in mille occasioni. Più che l’acqua alla gola, io ci vedo la metafora della rana bollita: quando si accorge che l’acqua nel pentolino ha raggiunto una temperatura e vorrebbe saltar fuori, ormai i muscoli sono talmente rallentati che la rana non riesce più a saltare. Noi pensiamo sempre che ci sia tempo senza rendercene conto. Ma questa è la grande responsabilità della classe politica a livello internazionale. Mancano i leader visionari, questa è la grande responsabilità che c’è adesso nel mondo”.
A proposito di politica e leader con la vision. Adesso da presidente del Lazio è diventato anche lei un leader politico, a capo della seconda regione più importante d’Italia (per fondi amministrati dopo la Lombardia), dove c’è anche la capitale d’Italia. Magari gliela rifaremo la domanda tra qualche anno, ma secondo lei, al primo impatto, è più difficile fare il presidente della più grande organizzazione umanitaria del mondo o pensa che il Lazio le darà più filo da torcere?
“La sensazione è che la regione mi darà molto filo da torcere, però sono ottimista per natura, lo vedremo nel futuro, ancora è troppo presto per poter dire quale delle due responsabilità sia la più complessa. Sulla natura di leader politico, l’accetto solo nell’accezione nobile del termine. C’è infatti la bellezza di potersi occupare di problemi a livello territoriale, guardando anche alla nostra costituzione. In fondo quando fai il presidente di una regione, o il sindaco di una città, non ti occupi di relazioni internazionali, non ti occupi di temi divisivi. Ti occupi, lo dico in maniera spicciola, della buca nella strada, del cittadino, della comunità nel senso nobile del termine. Per avere un accesso alla salute per tutti, che ci siano i servizi sociali e attenzione per i più fragili, è una sfida vera mettersi in gioco per questi aspetti. Forse un ritorno alla politica più pura. La politica che guida gli stati nazionali molto spesso, vuoi per motivi ideologici, culturali, religiosi, è molto più divisiva. Quando si lavora sul bene comune, sulla sanità e l’accesso alla salute per tutti, ad esempio, non è di destra o di sinistra. Quando si parla di infrastrutture, quando si parla di transizione energetica, li si tratta di un saper fare, di saper lavorare nei processi amministrativi snelli, trasparenti, con integrità; concetti che dovrebbero tornare ad essere un patrimonio comune e non divisivi. Perché in fondo quando guardi le competenze alla regione, o per un sindaco in un comune, sono ambiti dove non ci dovrebbero essere motivi di divisione se non nel governo delle priorità. Adesso in Italia c’è questo dibattito sulla Sanità territoriale, ecco queste sono le cose su cui si dovrebbe discutere e che non hanno un colore politico”.

C’è forse un parallelo tra il New York State e il Lazio e New York City e Roma. Qui il sindaco della più importante città degli Stati Uniti spesso deve chiedere aiuto al governatore dello Stato. Non solo per la ‘subway’… Senza il supporto di Albany, il sindaco di NYC si trova in difficoltà. Lei prevede che il sindaco di Roma busserà spesso alla sua porta? Prevede che Roma-Lazio sarà un derby che si giocherà anche fuori dall’Olimpico?
“No, questo è l’unico derby dove serve vincere insieme. Non ci può essere un vincitore sull’altro, e non solo nei confronti del sindaco di Roma, ma sono tutti i sindaci di una regione che hanno necessità del supporto regionale e viceversa. Anche la regione ha la necessità di ascoltare da chi vive certe realtà”.
Ma lei col sindaco di Roma Gualtieri ci parla?
“L’ho appena incontrato”.

Qui a New York, tra i precedenti leader della città e dello stato, De Blasio e Cuomo, ci sono stati duelli spietati…
“Credo che i grandi bisticci fossero sul covid. New York resta affasciante, è una città straordinaria, bellissima, vivace, con una offerta culturale unica. Ma tornando a Roma e pensando al nostro modo di aiutare i più deboli, penso che dobbiamo amarla di più la nostra città…”.
Avevamo promesso una sola domanda sul Lazio, ma il presidente Rocca non ci blocca e allora insistiamo.
Da presidente della Croce Rossa cosa è che l’ha impegnata di più e quale invece prevede sarà quello che la farà più sudare come presidente del Lazio?
“Sicuramente nella Croce Rossa la sfida più grande che abbiamo fatto in questi ultimi anni è stato questo cambio culturale che abbiamo richiesto ai governi e che sta dando i suoi risultati: dare importanza agli attori locali. Quindi investire nella consapevolezza della comunità nel prepararsi ai disastri, dando risposte alle comunità più fragili e fare in modo che gli Stati si affidino a loro e non più alle organizzazioni umanitarie tradizionali, quelle internazionali e per intenderci e un po’ carrozzoni, ma fare in modo che invece venga valorizzato l’attore locale. Non necessariamente la Croce Rossa locale, ma gli attori locali, quelli che conoscono le loro realtà e i reali bisogni.
Come regione Lazio, le sfide sono due. Quella delle infrastrutture e quella della sanità. Credo che queste due grandi sfide mi accompagneranno per tutto il mandato. La Sanità perché per me è la questione della dignità di tutti i cittadini di poter avere accesso alla salute, e le infrastrutture perché attraverso il rilancio si possa aiutare la crescita economica per potere sostenere chi rischia di rimanere indietro”.

Con la Croce Rossa è facile vedere i risultati che misurano il successo: si contano le centinaia di migliaia di persone soccorse e aiutate durante i disastri, terremoti, conflitti. Come presidente del Lazio, se avesse la sfera di cristallo, tra 5 anni su cosa vorrebbe che sia misurato il suo eventuale successo?
“Due cose: vedere diminuire il numero di poveri, delle persone in condizione di fragilità sociale. E poi fare in modo che una regione così complessa e anche così grande geograficamente non via sia più una sanità romanocentrica. Che insomma una persona che abita a 150, 200 chilometri dalla capitale, non debba fare più una tale distanza per trovare una risposta al suo bisogno di salute, o che i suoi familiari debbano farsi 200 chilometri al giorno per visitarlo. Questa è sicuramente la mia grande sfida”.
Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, l’ha scelta e candidata. Prevede che la sentirà spesso? Vi vedrete frequentemente per suggerimenti e aiuti?
“Credo sia necessario, tutte le regioni hanno necessità di dialogo col proprio governo”.

ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI
Ma lei sarà più ‘raccomandato’, in fondo Meloni ha scommesso su di lei…
“Beh, guardi, quando si parla di risorse finanziarie, lì sono dati oggettivi, non è che una regione vale più dell’altra. Il governo deve aiutare ma le risorse sono poche per tutti. Conoscendo la premier so che non farà sconti a nessuno compreso me stesso. In questo momento sono 15 le regioni governate da una coalizione più vicina alla sua sensibilità, però alla fine dovranno prevalere i dati oggettivi e la trasparenza con cui si utilizzano le risorse”.
Con l’ultima domanda lasciamo il Lazio, (a Rocca scappa una smorfia, come per dire altro che solo una domanda…) e torniamo alla sua esperienza con la Croce Rossa. Qui all’ONU ci sembra che la guerra tra Ucraina e Russia non si possa fermare. Spuntano sempre troppi “ma” per la pace e troppe “ragioni” per continuare la guerra…Eppure anche la Russia, qui dentro al Palazzo di Vetro, ha detto recentemente che si fida del Segretario Generale dell’ONU. L’Ucraina lo dice da sempre. Allora chiediamo all’esperto umanitario: c’è per Antonio Guterres un ruolo per ritrovare la pace? Se lei avesse qui davanti Putin e Zelensky, cosa gli direbbe? Come si ferma questa guerra?
“La guerra si ferma guardando agli interessi dei civili. Questo Palazzo dove ci troviamo, per me è un luogo sacro, lo dico da laico, ma ha una sua unicità. Si dovrebbe tornare a mettere al centro il diritto internazionale umanitario. Anni fa i conflitti si riuscivano a fermare, allora domandiamoci dove siamo arretrati culturalmente, perché credo che sia un problema proprio di arretratezza culturale. Si sono fatti passi indietro anziché in avanti, ma poi nessuno vuol fare passi indietro rispetto alle proprie pretese. Il Segretario Generale dovrebbe farsi carico personalmente di questo dialogo in un ambito in cui ci siano il meno possibile interferenze esterne”.

Guterres forse dovrebbe essere un po’ più ‘assertive’, più deciso nel suo ruolo di ricerca della pace?
“Nel farlo verso una o l’altra parte si rischia. Quindi io dico ‘assertive’ ma a porte chiuse. Il Segretario Generale lì deve essere libero di poter dire quello che ritiene, ma non aiuterebbe in questo momento dichiarazioni pubbliche che vanno verso una o l’altra parte in un conflitto così polarizzato. Io credo che ci dovrebbe essere un dialogo guidato dal Segretario Generale dell’ONU e soltanto con i due attori principali. Questo è un conflitto che risente di mille pressioni e dinamiche che non facilitano la chiusura del ciclo di violenze. In questo senso la saggezza del Segretario Generale, in cui anch’io ripongo tutte le mie speranze, è quella di chiamare un dialogo. Qui sembra un conflitto tradizionale, ma è un conflitto tradizionalmente asimmetrico. E l’aspetto degli attori asimmetrici non è solo da una parte. Potrebbe essere veramente l’occasione per il Segretario Generale di riportare al centro il dialogo, l’essere umano e la pace tra i popoli. Cercando di ripartire col dialogo tra i due contendenti”.
The @IFRC President @Francescorocca urged world leaders to turn commitments into #WaterAction putting always communities at the center.
Locally-led solutions save lives. pic.twitter.com/wh1BjCa1ad
— Tommaso Della Longa (@TDellaLonga) March 24, 2023