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March 13, 2023
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Myanmar, altre stragi ma il Consiglio di Sicurezza spera ancora nell’Asean

La giunta militare fa oltre 30 morti in un monastero buddista mentre all'ONU i Quindici si riuniscono a porte chiuse

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Il popolo del Myanmar, oppresso dai militari, si sente abbandonato dal mondo

Noeleen Heyzer, UN Special Envoy of the Secretary-General on Myanmar, talks with Rohingya refugees in a camp in Bangladesh. (Photo Office of the Special Envoy on Myanmar )

Time: 6 mins read

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU lunedì pomeriggio aveva già in programma una riunione sull’incandescente situazione in Myanmar (prevista a porte chiuse) quando dal paese del Sud est asiatico conosciuto anche col nome di Birmania, rimbalzava la notizia di un ennesimo crimine commesso dalla giunta militare al potere dal golpe del 2021: 30 civili e tre monaci buddisti sono stati uccisi dall’esercito birmano all’interno di un monastero, nel villaggio di Nan Nein, nello Stato meridionale di Shan.

L’aviazione della giunta militare, secondo fonti citate dalle agenzie, ha bombardato prima il villaggio e successivamente i militari sono entrati nel monastero dove gli abitanti si erano nascosti. Il quotidiano locale Kantarawaddy Times ha citato un portavoce di un gruppo di resistenti chiamato Kndf che ha dichiarato: “I militari li hanno messi in fila davanti al monastero e hanno brutalmente fucilato tutti, compresi i monaci”.

In un video della Kndf si vedono almeno 20 corpi, alcuni con le vesti arancioni indossate dai monaci buddisti, ammucchiati contro il monastero. I corpi avevano diverse ferite da arma da fuoco. Il video mostra anche le pareti del monastero disseminate di fori di proiettili.

Dopo il colpo di stato con cui il primo febbraio del 2021 i militari deposero il governo eletto imprigionando anche la leader e Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, nel paese è esploso un movimento di disobbedienza civile che è stato represso dai militari con indiscriminata violenza, provocando migliaia di morti. Ma l’opposizione al regime continua soprattutto nelle zone rurali.

Bagan, a city in the Mandalay Region of Myanmar. (Unsplash/Ajay Karpur )

Il Consiglio di sicurezza che si riuniva oggi a porte chiuse, ha già approvato lo scorso dicembre la sua prima risoluzione sul Myanmar. Prima della riunione,  l’Ambasciatrice del Regno Unito Barbara Woodward si è fermata un attimo davanti ai giornalisti, dicendo che la crisi in Myanmar riguarda la regione del mondo che, dopo l’Ucraina, negli ultimi mesi sta facendo più vittime civili. Quando le abbiamo fatto notare che in questo caso c’è la differenza che i morti e gli sfollati non sono causati da una invasione di un altro paese, ma dal proprio governo, Woodward ha detto: “Sono d’accordo, e questo rende la situazione complicata”. Che cosa potrà fare il Consiglio di Sicurezza, dato che di R2P, la responsabilità di proteggere, non si sente parlare più? “E’ un concetto che non è morto, ma sicuramente non è più prominente come era stato in passato”, ha ammesso Woodward che poi ci ha lasciato dicendo: “Noi dobbiamo concentrarci nel dare la pace al Myanmar e  l’aiuto umanitario di cui la popolazione ha bisogno”.

Oggi alla riunione del Consiglio di Sicurezza partecipava anche Noeleen Heyzer, inviata speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per il Myanmar, che però non ha rilasciato alcuna dichiarazione pubblica. Heyzer terrà un incontro con i giornalisti tra due giorni, dopo il suo intervento all’Assemblea Generale.

Alla riunione a porte chiuse del Consiglio era previsto anche l’intervento del ministro degli Esteri dell’Indonesia Retno Marsudi, il cui paese presiede l’Associazione dei 10 membri dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN). La risoluzione del Consiglio di Sicurezza di dicembre conteneva infatti numerosi riferimenti all’ASEAN, che nell’aprile del 2021 aveva adottato un piano di “consenso in cinque punti” in risposta al colpo di stato in Myanmar. Il Consiglio dei Quindici – che ricordiamo soffre delle divisioni tra le potenze permanenti accentuate anche dalla guerra in Ucraina –  sta lasciando l’iniziativa all’Asean per cercare un accordo con la giunta militare birmana affinché terminino le violenze indiscriminate contro la popolazione civile, evitando così che lo stesso Consiglio, nel cercare di provvedere con più vigore, sia stoppato da un probabile veto della Cina (e forse anche della Russia).

Barbara Woodward, Permanent Representative of the United Kingdom to the United Nations, addresses the Security Council (UN Photo/Manuel Elías)

All’uscita del Consiglio di Sicurezza, gli ambasciatori sono andati via senza rilasciare dichiarazioni. Solo l’ambasciatrice del Regno Unito, Barbara Woodward, quando le abbiamo chiesto come fosse andata, continuando a passo svelto, ha detto che “è stato un ottimo incontro, ha aiutato ascoltare l’inviata speciale dell’Onu e anche la presidenza dell’Asean”. Già, ma potrebbe dirci di più? “Come ho detto siamo soddisfatti delle iniziative dell’Asean, però abbiamo anche fatto notare che bisogna ora inviare del cibo alla popolazione isolata e abbiamo incoraggiato l’Asean a farlo”.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza approvata a dicembre ha chiesto “un accesso umanitario pieno, sicuro e senza ostacoli”, esprimendo profonda preoccupazione per il “numero sempre più elevato di sfollati interni e il drammatico aumento dei bisogni umanitari”. Tuttavia, la giunta del Myanmar sta aumentando i blocchi all’assistenza umanitaria per impedire che gli aiuti raggiungano le popolazioni bisognose come forma di punizione collettiva. Dall’adozione della risoluzione, le operazioni militari nel sud-est e nel nord-ovest hanno sfollato centinai di migliaia di civili, portando già il numero totale di persone sfollate dal colpo di stato a 1,3 milioni.

Prima della riunione del Consiglio di Sicurezza, l’autorevole Ong Human Rights Watch aveva avvertito che era giunto il momento di esercitare più pressione da parte dei Quindici sulla giunta militare del Myanmar: ”La giunta ha dimostrato di essere impermeabile a dichiarazioni di condanna o preoccupazione”, ha dichiarato Louis Charbonneau, che per Human Rights Watch si occupa delle Nazioni Unite, aggiungendo: “Il suo disprezzo per la risoluzione di dicembre del Consiglio di sicurezza mostra la necessità di una nuova risoluzione che imponga misure forti come un embargo sulle armi e sanzioni mirate per alti funzionari militari e società legate all’esercito”.

A press briefing is held with Women Human Rights Defenders from Myanmar. Participants are: Mona Juul (left at dais), Permanent Representative of Norway to the UN, along with May Sabe Phuy (centre), from the Woman Advocacy Coalition Myanmar; and Naw Hser Hser (right), from Women’s League of Burma. The briefing was sponsored by the Permanent Mission of Norway to the United Nations. (UN Photo/Manuel Elías)

Prima della riunione del Consiglio di Sicurezza, c’era stato anche un incontro con i giornalisti organizzato dalla missione ONU della Norvegia, con la Permanent Representative, l’ Ambasciatrice Mona Juul e due rappresentati delle organizzazioni civili birmane, May Sabe Phuy di The Woman Advocacy Coalition Myanmar,
e Naw Hser Hser, della Women’s League of Burma, che hanno mostrato tutta la loro frustrazione per i crimini che la giunta militare sta commettendo in Myanmar senza che ci sia stata finora un’ adeguata reazione da parte della comunità internazionale. Le attiviste per i diritti umani hanno esortato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a deferire la giunta militare del Myanmar alla Corte penale internazionale e hanno esortato i paesi dell’ASEAN a sostenere il movimento di opposizione a favore della democrazia. May Sabe Phyu ha accusato l’esercito birmano di condurre “una campagna di terrore” e di aver commesso “atti atroci” che costituiscono crimini contro l’umanità.

May Sabe Phuy, from the Woman Advocacy Coalition Myanmar, briefs reporters during a briefing held with Women Human Rights Defenders from Myanmar. (UN Photo/Manuel Elías)

Intanto, da Ginevra, degli esperti di diritti umani nominati dalle Nazioni Unite sul Myanmar, hanno esortato le aziende di piattaforme di social media a fare di più per resistere alla “campagna di terrore online” della giunta militare. In un appello alle piattaforme di chat su Internet, gli esperti di diritti umani hanno avvertito che Telegram in particolare era ormai diventato in Myanmar “un focolaio di attività pro-militari”.

Decine di migliaia di seguaci sono attratti dal “contenuto violento e misogino” della giunta militare al potere, e in questi social le donne vengono spesso accusate di fare sesso con uomini musulmani o di sostenere la popolazione musulmana. Questa è una “narrativa ultranazionalista, discriminatoria e islamofoba comune in Myanmar”, hanno affermato gli esperti dei diritti umani dell’ONU, che hanno aggiunto che le donne sono anche prese di mira dal cosiddetto “doxxing” – l’atto di pubblicare informazioni private, inclusi nomi e indirizzi, su individui senza il loro consenso.

#Myanmar: Social media companies must stand up to military junta’s terror campaign-UN experts: Pro-junta accounts have taken advantage of Telegram’s lax content mod rules &are posting violent +misogynistic content, causing women to retreat from public lifehttps://t.co/KGbqhadTXL pic.twitter.com/hAa9YpdvyI

— UN Special Procedures (@UN_SPExperts) March 13, 2023

Gli esperti, tra cui il relatore speciale sul Myanmar, Tom Andrews, hanno accolto con favore la decisione di Telegram di bloccare almeno 13 account di social media pro-militari dopo essere stati informati di ciò che stava accadendo, sebbene almeno uno dei peggiori canali offensivi sia tornato online.

“A meno che Telegram non cambi radicalmente il suo approccio alla moderazione dei contenuti in Myanmar, è probabile che gli attori filo-militari apriranno semplicemente nuovi account e continueranno la loro campagna di molestie”, hanno affermato gli esperti dell’ONU.

“Ogni giorno, le donne vengono minacciate online di violenza sessuale perché si battono per i diritti umani, si oppongono al tentativo di governo dei militari e combattono per un ritorno a un percorso democratico”, hanno affermato gli esperti in una dichiarazione.

Il “doxxing” e altre forme di molestia online si aggiungono alle molteplici minacce che donne attiviste, difensori dei diritti umani e associazioni indipendenti stanno già affrontando in Myanmar”, hanno affermato gli esperti dell’ONU. Gli esperti indipendenti hanno esortato Telegram e altre società di social media ad assumersi le proprie responsabilità per identificare, prevenire e mitigare qualsiasi violazione dei diritti umani che si verifica sulle loro piattaforme. “Le aziende tecnologiche devono garantire che i loro servizi non contribuiscano a violazioni dei diritti umani, tra cui violenza e discriminazione di genere, arresto arbitrario, diritto alla privacy e soppressione della libertà di espressione, riunione pacifica, sia online che offline, e associazione ,” hanno concluso gli esperti di diritti umani dell’ONU.

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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