“Un patto con la natura”. È stato definito così l’accordo “storico” raggiunto nelle prime ore di lunedì alla COP15 delle Nazioni Unite sulla tutela della biodiversità. Il piano permetterà di tutelare almeno il 30% della biodiversità terrestre entro la fine del decennio, con un’attenzione particolare alle foreste pluviali e alle paludi.
Il testo dell’intesa è stato reso pubblico domenica dalla Cina, presidente formale del vertice – tenutosi tuttavia a Montreal, in Canada, a causa della risalita dei contagi nel Paese asiatico. Al suo interno si affrontano, tra le altre questioni, quella dei finanziamenti verso i Paesi in via di sviluppo e la tutela dei diritti delle popolazioni indigene.
E uno dei temi cardine è stato proprio come finanziare le iniziative di conservazione nelle regioni del mondo che ospitano alcuni degli ecosistemi più ricchi di biodiversità.
Non è però mancata qualche critica all’intesa, ritenuta dagli ambientalisti poco ambiziosa quanto ad obiettivo e finanziamenti. Nota dolente riguarda inoltre gli oceani, che nonostante ricoprano il 70% della superficie terrestre non vengono debitamente enfatizzati nel testo della COP15 – analogamente a diversi altri tipi di flora e fauna a rischio di estinzione.
Alcune nazioni avevano inoltre chiesto la creazione di un fondo ad hoc per aiutare la conservazione della biodiversità, ma l’idea è stata espunta dal testo a causa dell’opposizione di alcune nazioni.
Gli scienziati hanno più volte avvertito che l’attività umana sta inesorabilmente consumando la Terra, provocando una perdita record di foreste e pascoli e un inquinamento degli oceani senza pari nella storia. Ciò, tra le altre cose, comporta una maggiore possibilità di diffusione di malattie come Covid, Ebola e HIV dagli animali selvatici all’uomo.