“L’umanità è a un solo errore di distanza dalla devastazione nucleare“. A sostenerlo è il segretario generale dell’ONU, António Guterres, rivoltosi alla comunità internazionale in occasione della decima conferenza di revisione sul Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (NPT), tenutasi lunedì mattina al Palazzo di Vetro di New York.
Inaugurando il meeting, programmato per il 2020 ma rimandato causa Covid-19, il portoghese si è soffermato sulla guerra in Ucraina e il rischio di escalation – dato che l’aggressore è la nazione con il più alto numero di testate atomiche (circa 6.000). Oltre che in Europa orientale, è alto il pericolo di uso o sviluppo di armi nucleari anche in Medio Oriente e in Estremo Oriente, due aree che ad opinione del leader onusiano sono “sull’orlo della catastrofe”.
Non è un quadro troppo entusiasmante quello fornito da Guterres, che ha definito quello attuale come “il periodo con maggiore rischio nucleare dall’apice della Guerra Fredda”. I dati gli danno ragione: ha ormai sfondato quota 13.000 il numero di quelle che il segretario generale definisce “armi apocalittiche”. Nel suo discorso, il segretario generale ha perciò esortato i partecipanti a riaffermare con urgenza l’impegno a ridurre gli arsenali e promuovere, al contrario, l’uso pacifico della tecnologia nucleare.
Il Trattato di non proliferazione, in vigore dal 1970, può contare su 191 Stati firmatari, che rappresentano la più ampia adesione di qualsiasi altro accordo internazionale sul controllo delle armi. Esso prevede che le prime cinque potenze nucleari – Russia (ex URSS), Stati Uniti, Cina, Francia e Regno Unito – si impegnino a eliminare gradualmente i loro arsenali nucleari, laddove le nazioni che non ne dispongono promettono di non acquisirle in cambio della garanzia di poter usare l’energia nucleare per scopi pacifici.
Oltre alla Corea del Nord, dove il regime di Kim Jong-un anela da tempo l’ottenimento dell’arma atomica come garanzia contro eventuali attacchi esterni futuri, ad impensierire la comunità occidentale sono anche i propositi dell‘Iran.
La teocrazia degli ayatollah, pur sostenendo di essere esclusivamente interessata ai risvolti pacifici (energetici) della ricerca nucleare, ha recentemente fatto sapere di “essere in grado” di costruire una bomba atomica. Ad affermarlo è stato Mohammed Eslami, capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana, che ha però chiarito come il Paese non sia al momento interessato a dare rivolti militari ai propri studi.
Allarmata, invece, la reazione degli Stati Uniti – che hanno ribadito il loro proposito di prevenire il passaggio dell’Iran allo status di potenza nucleare. La Casa Bianca ha imposto dure sanzioni tanto a Pyongyang quanto a Teheran proprio in ritorsione ai propositi nucleari delle due nazioni “pària”, e in occasione della sua recente missione in Israele, il presidente Joe Biden si è detto disposto a ricorrere all’uso della forza contro l’Iran “come ultima opzione“ – qualora prosegua lo stallo nei colloqui sul programma nucleare della Repubblica Islamica.

Nelle stesse ore, l’inquilino della Casa Bianca ha inoltre teso la mano a Mosca, offrendo l’apertura di un tavolo per un nuovo accordo che, “rapidamente”, prenda il posto del New START, in scadenza nel 2026.
Attraverso la suddetta intesa, sottoscritta nel 2011, Washington e Mosca si sono impegnate a limitare il numero di bombardieri pesanti con armamento nucleare, missili balistici lanciati da sottomarini e missili balistici intercontinentali, oltre al numero di testate nucleari trasportabili su di essi.
Sarcastica la replica del Cremlino: “Si tratta di una dichiarazione seria o il sito web della Casa Bianca è stato violato?”, ha dichiarato alla Reuters una fonte del ministero degli Esteri.