Rischiano di finire sotto processo due persone dipendenti del World Food Program – il Programma alimentare mondiale (Pam) – che secondo la procura di Roma avrebbero delle responsabilità nella morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi in Congo il 22 febbraio dell’anno scorso da un gruppo armato in un tentativo di sequestro. La Procura di Roma ha chiuso le indagini, atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio.
I due, organizzatori della missione nel nord del Paese africano, sono stati accusati di omicidio colposo dopo l’inchiesta del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco.
La procura di Roma “ha ritenuto di aver raccolto elementi idonei a contestare il delitto di omicidio colposo” e in particolare, sono stati raccolti elementi secondo cui gli indagati “avrebbero attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti del Wfp così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima”.
Inoltre, si legge ancora nel comunicato stampa, “avrebbero omesso, in violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio, la missione di pace Monusco che è preposta a fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza informando gli organizzatori della missione dei rischi connessi e fornendo indicazioni sulle cautele da adottare (come una scorta armata e veicoli corazzati)”.
E ancora: “avrebbero omesso di predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare che, pur avendo dei tratti classificati verdi cioè a basso rischio, aveva anche delle parti classificate gialle, cioè a rischio medio che avrebbero imposto di indossare, o avere prontamente reperibile il casco e il giubbotto antiproiettili. Avrebbero omesso, in presenza di un ambasciatore, che rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio, e dopo aver dato assicurazioni al carabiniere Iacovacci, a seguito delle sue richieste, di poter usufruire di veicoli blindati (che il Wfp aveva in dotazione a Goma), che le misure di sicurezza base sarebbero state incrementate, di approntare ogni utile ulteriore misura di mitigazione del rischio”.
Inoltre l’ufficio, ricostruita in modo esaustiva la dinamica dei fatti avvenuti la mattina del 22 febbraio, in particolare le modalità del sequestro e del successivo conflitto a fuoco, “prosegue le attività di indagini per il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo, finalizzate a identificare i componenti del gruppo di fuoco, anche attraverso le tue rogatorie già inoltrate alle autorità della Repubblica democratica del Congo”. (agi)