Trentacinque cadaveri ancora fumanti, alcuni con gli arti legati, disposti in cerchio in una capanna bruciata. È il macabro scenario denunciato dall’Unicef avvenuto nello Stato di Kayah, in Myanmar, il girono della Vigilia di Natale, il 24 dicembre scorso.
Tra gli uccisi c’erano anche 2 ragazzi di 17 anni, 1 ragazza adolescente, 1 bambino di circa 5-6 anni, di sesso non identificato e 2 membri dello staff dell’organizzazione umanitaria Save the Children. Brutalmente assassinati mentre tornavano nell’ufficio dell’Ong a Loikaw, dopo aver risposto ai bisogni umanitari in una comunità vicina.
Mercoledì, anche i Quindici del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno condannato l’attacco, chiedendo “l’immediata cessazione di ogni violenza” per la fine dell’anno.
L’Unicef si è detta “scioccata” per le violazioni del diritto internazionale, e attraverso la voce di Debora Comini, direttore regionale del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia per l’Asia orientale e il Pacifico, ha chiesto “un’azione urgente per indagare su questo deplorevole incidente e per chiedere conto ai responsabili”.