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September 23, 2021
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La crisi dei profughi haitiani in Texas imbarazza l’amministrazione Biden

Si dimette per protesta contro la politica di Washington l'inviato speciale per Haiti Daniel Foote, Filippo Grandi dell'UNHCR avverte la Casa Bianca

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 5 mins read

Accettare o respingere? Il Paese del “Pluribus Unum” è a un bivio. L’America nata e cresciuta grazie alla moltitudine di immigrati accolti per 200 anni non sa più cosa fare e chiude la porta. La demagogia si scontra con la realtà ora che una massa di haitiani si è accampata sotto un cavalcavia in Texas alla frontiera con il Messico con la speranza di poter entrare negli Stati Uniti. Gente disperata che fugge dalla povertà e dalla fame, che scappa da un Paese devastato dai terremoti, pieno di incertezze dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse, in mano alle gang che gestiscono gli aiuti internazionali.  Ma gli Stati Uniti non li vogliono e li rimpatriano.

Le espulsioni arrivano un mese dopo che il Dipartimento di Stato ha emesso un avviso di non viaggiare ad Haiti «a causa di rapimenti, criminalità, disordini civili e Covid-19». Una confusione che ha spinto l’inviato speciale degli Stati Uniti per Haiti, l’ambasciatore Daniel Foote, a lasciare l’incarico. Nella sua lettera di dimissioni l’ambasciatore spiega di non voler essere associato “con le decisioni disumane e controproducenti” di “rimpatriare migliaia di rifugiati e immigrati illegali haitiani ad Haiti, paese dove i funzionari americani sono confinati in compound a causa del pericolo posto dalle gang armate”. Accuse pesanti mentre i voli aerei per rimpatriare gli haitiani procedono a tutta velocità, ma non solo. Tanti haitiani hanno preferito rientrare in Messico per non venire deportati ad Haiti. Ora sotto il cavalcavia che collega il Messico con gli Stati Uniti gli haitiani rimasti sono 5/6 mila. Molti sono stati portati a Laredo, dove sta sorgendo un campo di accoglienza, altri, invece, sono stati rimpatriati. Oscuro, per ora, il motivo per cui le autorità americane respingono o accettano le richieste di immigrazione.

Gli agenti federali a cavallo della Homeland Security che nei giorni scorsi hanno usato le briglie come frusta per respingere alcuni haitiani al confine col Messico, sono stati per ora sospesi dal servizio attivo. Restano in caserma in attesa dei risultati di una indagine interna sul loro comportamento. La vicepresidente Kamala Harris, commentando le immagini dagli agenti, le ha definite “orribili”. “Sostengo pienamente che ciò che sta accadendo in questo momento sarà oggetto di un’indagine approfondita. Gli esseri umani non dovrebbero mai essere trattati in questo modo e ne sono profondamente preoccupata».

A corto di alleati il governatore del Texas Greg Abbott ha creato un muro artificiale usando gli USV dello Stato.  Una crisi peggiorata dopo il drammatico allarme lanciato dal segretario alla Homeland Security Alejandro Mayorkas pochi giorni dopo la sua investitura. Un problema di vecchia data esasperato dal populismo che anziché cercare la soluzione politica e diplomatica, cerca lo scontro.  E il problema, ovviamente, non viene risolto.

Family sits in the rubble of the house they lost in a 7.2 magnitude earthquake in Haiti. (© UNICEF/Georges Harry Rouzier)

Anche le Nazioni Unite si muovono: Filippo Grandi, alto commissario dell’UNHCR che si occupa dei rifugiati, si è detto “scioccato” dal trattamento riservato agli haitiani dalle guardie di frontiera USA e ha anche avvertito gli Stati Uniti che rischiano di “infrangere la legge internazionale” proprio perché in questo momento la situazione di Haiti è tale che lo status di questi migliaia di hatiani è ancora tutto da determinare. Poi Grandi, proprio giovedì è styato ricevuto alla Missione degli Stati Uniti all’ONU dall’ambasciatrice Linda Thomas Greenfield per conversazioni proprio sul tema scottante dei rifugiati e dei loro diritti umanitari.

Good to meet with High Commissioner @FilippoGrandi. We discussed the critical work of @Refugees to protect the world’s most vulnerable, as well as our commitment to respond to pressing global humanitarian needs. #UNGA pic.twitter.com/y28ejXxJ9a

— Ambassador Linda Thomas-Greenfield (@USAmbUN) September 23, 2021

Intanto a Washington l’ala dem più liberale ha cercato di introdurre la riforma della legge dell’immigrazione nel pacchetto del bilancio federale ma si è arresa dopo che Elizabeth MacDonough, la Parlamentare del Senato (l’arbitro nonpartisan che stabilisce il rispetto delle regole procedurali), ha bocciato la proposta perché non ricade nelle regole del Reconciliation, il meccanismo che permette l’approvazione “rapida” delle leggi di bilancio con una maggioranza semplice ed è protetto dal filibuster che invece impone la maggioranza qualificata di almeno 60 voti.

Un duro colpo questo soprattutto ai “Dreamers”, i giovani arrivati illegalmente negli Stati Uniti, come i bambini che beneficiano del Deferred Action for Childhood Arrival, il Daca, programma federale governativo creato da Obama nel 2012 che permette alle persone portate negli Stati Uniti illegalmente, come i bambini, il diritto temporaneo di vivere, studiare e lavorare legalmente negli Stati Uniti. Chi ne fa richiesta deve possedere una fedina penale pulita, deve essere studente o aver finito il percorso scolastico o militare. Passato il controllo, la loro espulsione è rinviata di due anni, con l’opportunità di rinnovo, potendo così ottenere servizi basici come la patente, iscrizione al college o un permesso di lavoro.

I “Dreamers” sono quasi 800 mila persone provenienti dal Messico, El Salvador, Guatemala e Honduras e si concentrano principalmente in California, Texas, Florida e New York, con un’età che si aggira tra 15 a 36 anni. Il Daca è stato un compromesso concepito dall’amministrazione Obama dopo che il Congresso rifiutò di approvare la “Development, Relief and Education for Alien Minors (Dream) Act” che avrebbe potuto offrire alle persone entrate illegalmente come i bambini l’opportunità di ottenere una residenza permanente nello stato. La legge bipartisan fu introdotta per la prima volta nel 2001 e da allora è stata più volte rigettata al Senato. Trump ha più volte cercato di abolire e limitare i benefici del Daca, ma la magistratura federale ha parzialmente protetto i loro diritti.

Manifestazione contro le politiche dell’allora amministrazione Trump con l’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement) a City Hall Park, New York – Maggio 2018 (foto di Terry W. Sanders)

“È tempo di portare tutti gli 11 milioni di immigrati senza documenti fuori dall’ombra”, ha detto il senatore democratico del New Jersey Bob Menendez, uno dei principali sostenitori della riforma. “Abbiamo un imperativo economico e morale di approvare una grande, coraggiosa e inclusiva riforma dell’immigrazione che non lasci indietro nessuno, non i nostri dreamers, non i nostri braccianti e operai lavoratori essenziali, non i nostri genitori, amici e vicini”.

Menendez ha sottolineato che molti degli immigrati lavorano nelle industrie agricole, alimentari e sanitarie che sono state essenziali durante la pandemia di covid, esponendosi a un maggio rischio di contrarre il virus: “Sono lavoratori essenziali – ha detto – così essenziali che la nostra economia non funzionerebbe senza di loro. Eppure vivono con una paura costante”. I repubblicani, da parte loro, non vogliono la riforma, dicendo che i cambiamenti porterebbero a una nuova crisi di confine, dato che le persone provenienti dai Paesi dell’America centrale si riverserebbero a Nord con la speranza di entrare negli Stati Uniti.

“Questa proposta – ha detto nelle settimane scorse il congressman repubblicano dell’Ohio Jim Jordan – premia coloro che hanno infranto la legge, inonda il mercato del lavoro in un momento in cui milioni di americani sono senza lavoro, non riesce a rendere sicuro il confine e incentiva l’ulteriore immigrazione illegale”.

E mentre la politica non trova la soluzione per risolvere il problema in migliaia al confine con il Messico dormono sotto un ponte.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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