L’8 marzo, la Giornata internazionale della Donna è stata celebrata non solo con mazzolini di mimose, ma anche nelle sedi di potere.
Come ormai avviene annualmente da 15 anni, anche nel 2021 il Dipartimento di Stato americano ha assegnato un prestigioso premio, l’International Women of Courage Award, a donne di tutto il mondo che si sono distinte per il loro coraggio nel combattere l’ingiustizia e nel richiedere uguali diritti, sicurezza e pace.
“Il mondo non raggiungerà mai il suo potenziale finchè tutte le donne non saranno trattate con dignità e rispetto” ha detto il presidente Biden in una clip che ha aperto la cerimonia. Le 21 laureate di quest’anno sono state presentate dal Segretario di Stato Antony Blinken, che ha ripercorso le storie e le battaglie di donne brillanti e tenaci, da Maria Kalesnikava, attivista bielorussa imprigionata per avere fatto opposizione al presidente Lukashenka prima delle elezioni del 2020, a Shohreh Bayat, iraniana e prima donna arbitro di scacchi in Asia, bandita dal suo paese per essere stata fotografata senza hijab al campionato mondiale femminile del 2020.
“Sono spesso le donne che guidano la battaglia per la pace e la giustizia, sebbene abbiano generalmente meno potere” ha detto il segretario Blinken. “Quando [come americani] teniamo a mente le loro necessità nella nostra agenda estera – ha aggiunto – le nostre politiche sono più efficaci. Sono più umane”.
È stato seguito da un appassionato discorso di Jill Biden, che dimostra di non avere nulla da invidiare al carisma di Michelle Obama. La pandemia ci ha dimostrato che siamo tutti connessi, secondo la first lady, con lo stesso “respiro di morte” che riverbera in tutto il mondo. Lo stesso vale “per la povertà, il conflitto e i disordini civili”.
“La diplomazia, al suo meglio, è il riconoscimento di questa connessione. Che la libertà per le donne in Afghanistan rafforza le comunità ovunque; che la scolarizzazione in Birmania crea opportunità molto lontano; che elezioni eque in Bielorussia miglioreranno anche la nostra stessa democrazia; che la giustizia può essere tale solo se è per tutti. La vostra battaglia è la nostra battaglia. Saremo al vostro fianco mentre costruiamo un futuro più luminoso per noi tutti.”
UN Women ha ricordato, oggi, che la battaglia di cui parla la first lady è ancora lunga. Secondo le attuali proiezioni dell’ONU la parità di genere nelle stanze del potere non sarà raggiunta per altri 130 anni, e solo tre paesi del mondo hanno attualmente almeno la metà dei parlamentari di genere femminile.
Come scriveva anche Hillary Clinton su The Atlantic lo scorso ottobre, le ricerche dimostrano che laddove le donne ricoprono ruoli di potere hanno un occhio di riguardo per i temi spesso ignorati, e il sistema scolastico e sanitario ottengono migliore finanziamento; la corruzione è mediamente più bassa e la polarizzazione politica minore. Questo si riflette in una migliore gestione delle situazioni emergenziali, come l’ultimo anno ha chiaramente dimostrato. Ma nonostante le nazioni con donne a capo del governo (Germania, Finlandia, Nuova Zelanda…) abbiano gestito l’emergenza meglio di altre, solo il 3.5% delle task force nel mondo sono composte da tanti uomini quanto donne.
In questa Festa della Donna, in piena pandemia, non si può non riconoscere che l’impatto del COVID sia stato sentito più dalle donne che dagli uomini: lo si può misurare nel numero di vite perse in prima linea tra gli operatori sanitari, ma anche nei dati della disoccupazione e nell’aumento vertiginoso della violenza domestica. Lo stesso è stato ricordato anche dal segretario ONU Guterres nel suo messaggio per la Festa della Donna: “anche se le donne hanno giocato ruoli critici durante la pandemia, abbiamo visto dei passi indietro nei progressi vinti con fatica sui loro dritti”. Troppo spesso i servizi sono erogati da donne, ma le decisioni sono prese da uomini, ha ricordato Guterres. La pandemia “ci ha costretti a fare i conti con le disuguaglianze globali, le fragilità e la discriminazione di genere. Le donne devono essere al centro della ripresa mentre facciamo gli aggiustamenti di traiettoria che la pandemia ha evidenziato così vividamente ci servano”.
Il 2021, anno ricchissimo di eventi internazionali volti a indirizzare il recupero dopo la pandemia nella giusta direzione, offrirà anche una occasione di confronto unica per i diritti delle donne. Si tratta del Generation Equality Forum organizzato da UN Women, che sarà avviato il 29 Marzo a Città del Messico e culminerà a giugno a Parigi, in cui saranno presentati i progetti che l’ONU ha sviluppato per ottenere la parità di genere nel ramo esecutivo e legislativo di 50 diversi paesi entro il 2026.
Linda Thomas-Greenfield, ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, si è impegnata a portare la voce delle donne anche nel Consiglio di Sicurezza, di cui sarà presidente questo mese. “Dopotutto – ha ricordato – le donne rendono il mondo più pacifico, e non è un aneddoto, è un fatto”. “Promuovendo la partecipazione e la leadership delle donne, in politica, nelle negoziazioni e mediazioni” ha detto l’ambasciatrice “promuoviamo la sicurezza e la pace”.
Insomma “le donne sorreggono metà del cielo”, come ha detto l’ambasciatore cinese all’ONU Zhang Jun. Certo, le sue parole suonerebbero meglio se una delle premiate questa mattina non fosse Wang Yu, avvocatessa cinese che si batte per i diritti civili, la libertà di espressione e associazione, imprigionata per due anni a causa del suo lavoro e quotidianamente minacciata e aggredita dalla polizia dello stesso governo che ha nominato l’ambasciatore.